Carnage, del maestro Roman Polanski, pellicola Fuori Concorso alla 68esima, è un massacro ritmato da un gioco d‘inquadrature e un montaggio agile e tutto d’un fiato. Soli 79 minuti per raccontare l’incontro-scontro tra due coppie borghesi di Brooklyn, che tentano di sanare le scaramucce dei rispettivi figli undicenni con improbabile capacità. Nell’aristotelico rispetto teatrale di unità di tempo, di luogo e d’azione, la pellicola, tratta dalla pièce di Yasmina Reza, non fa rimpiangere le tavole dello stage, pur correndone il forte rischio. Aiutata dalle peculiarità della macchina da presa, che meglio indaga le sfumature espressive degli attori con l’uso sapiente del primo e primissimo piano e con il gioco di montaggio, la storia trasmette una claustrofobia sconcertante, un massacro psicologico, dove l’assenza di sangue rende paradossalmente meglio l’idea.
In un gioco di alleanza alternata e incrociata: ora una coppia contro l’altra, ora le due donne alleate contro i mariti e viceversa, ora gli spigoli interni ad ognuna delle coppie messi completamente a nudo, per finire con un nuovo ribaltamento di alleanze, i quattro attori si spartiscono la torta di un risultato interpretativo di altissimo livello, con le due attrici – Jodie Foster e Kate Winslet – di una bravura irraggiungibile. Come in una marcia trionfale, il quartetto d’archi degli interpreti è guidato da un direttore d’orchestra eccellente. Polanski racconta come la violenza degli adulti, con le loro ferite morali, sia molto più pericolosa di quella spicciola di due adolescenti, che se le danno di santa ragione, anche rimettendoci un paio di denti da far riaccomodare. Nel finale, infatti, i due ragazzi tornano a giocare insieme come se nulla fosse accaduto, gettando una lezione di maturità in faccia ai loro diletti genitori, malati di una vita stressata e molto frustrante.
Margherita Lamesta