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The Ides of March di George Clooney

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The Ides of March di George Clooney – un ponte tra passato, presente e futuro (?)

Nel ricordo del teatro di prosa più classico, The Ides of March di George Clooney, tratto da una pièce di Beau Willimon, ha aperto la 68esima Mostra dell’Arte Cinematografica di Venezia. È un ottimo lavoro da regista con un cast di livello. Ryan Gosling è il giovane idealista Stephen costretto a tirar fuori le unghie in un ambiente di pescecani, quale è quello della politica. Il titolo rimanda chiaramente alla storia di Roma e alla tragedia di Shakespeare, che alla prima s’ispira, ma le trentatré pugnalate non sono inferte sul solo Cesare, suddividendosi tra i vari personaggi: tutti sedotti e seduttori, arrivisti e usati, potenti e anelanti al potere. Lo stesso Clooney, in conferenza stampa, lancia una provocazione allo spettatore, esortandolo a decidere da sé come identificare i personaggi del suo film con quelli della tragedia shakespeariana. È un lungometraggio sulla politica, il suo, intesa in senso ampio, che trascende luoghi, epoche, culture. La differenza tra la pellicola e il fatto storico, tuttavia, sta proprio nel fatto che nessuno dei personaggi può richiamare alla mente Giulio Cesare e in tutti coesistono, invece, sia Bruto che Antonio. 

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Certamente il gioco sporco tocca il fondo quando ci scappa il morto – la stagista Molly interpretata benissimo da Evan Rachel Wood – una ragazza ancora troppo giovane per aver affilato le sue armi di protezione in un mondo come quello. Il gioco nefando e pericoloso, che anche Molly è incline ad imparare e a mettere in pratica, è più grande di lei e la fanciulla ci rimette ahimè la vita. Clooney offre al suo pubblico una recitazione inappuntabile sostenuta da un cast d’eccezione – Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, oltre ai già citati Gosling e Wood – e, come ha dichiarato in conferenza stampa, ha finalmente realizzato un progetto in fieri sin dal 2004. Il regista ha pensato, infatti, che questo fosse il momento giusto per offrire al pubblico un’amara riflessione sulla politica, ora che la dose di cinismo è diventata troppo sproporzionata rispetto a quella dell’idealismo ma egli spera anche in un futuro migliore. Il film è tutto sommato coinvolgente, anche se il plot presenta qualche momento poco credibile, come ad esempio l’incontro estremamente facile di Stephen con il senatore rivale. Ciononostante, l’indifferenza profusa in tutta la pellicola lancia un messaggio molto forte. Essa fa emergere il vero volto delle persone o nel peggiore dei casi le costringe a cambiare la propria faccia, proprio come accade nella giungla dove vige la legge del più forte e non potrebbe essere altrimenti per sopravvivere, in barba, purtroppo, alla ratio che dovrebbe distinguere l’uomo dalla bestia.

Margherita Lamesta

Flash News

Shame di Steve McQueen, in concorso a Venezia 2011, è una pellicola durissima che indaga i sentimenti e le pulsioni più torbide e scabrose, di cui ci si vergogna, analizzate attraverso uno dei rapporti più difficili da costruire, gestire e indagare, quello tra fratello e sorella. Michael Fassbender, al massimo della sua prova d’attore - tanto da aggiudicarsi a pieni meriti la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile - affronta un personaggio, Brandon, diviso in una sorta di schizofrenia congenita tra successo nel lavoro e discesa agli inferi della sua anima. Sissy-Carey Mulligan, sorella di Brandon, invece, è una ragazza senza un lavoro vero e con velleità di cantante. Lei, balorda, randagia e fragile, proprio come Holly di Colazione da Tiffany, si aggrappa al rapporto col fratello, il quale, al contrario, fa di tutto per respingerla. Il regista si serve di un occhio filmico oggettivo e tutto votato al presente, non scade mai, infatti, nella banalità giustificatrice della ricerca dei traumi violenti da cui ha origine un simile comportamento, anche se ce li fa sottendere. Così facendo, dunque, emerge meglio la solitudine profonda e l’impossibilità di relazione con gli altri dei due protagonisti, se non attraverso il diaframma di un sesso malato. Brandon adora sua sorella Sissy – un nome non casuale se si pensa che per ogni fratello la sorella è sempre la principessa di casa – ma fa di tutto per tenerla lontana. Quello tra i due è un rapporto difficile, geloso, esplosivo, pieno di vergogna – “potresti chiudere la porta” rimprovera il giovane a Sissy mentre, rientrando a casa e non sapendo di trovarla lì, la vede uscire nuda dalla doccia - ma sta lì. Egli teme la sua devozione e dedizione per la sorella, perché sa che è uno dei pochi legami immutabili della vita di un uomo e lui ha paura di legarsi. Ne é prova tangibile la sua vita sessuale, da cui Brandon non riesce a trarre soddisfazione se non da un sesso estraneo, compulsivo, pornografico o pagato.
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