Alla sessantanovesima kermesse veneziana più attesa, quella cinematografica, ecco il Premio Oscar Susanne Beir, per la prima volta alle prese con una commedia: Den Skaldede Frisør (Love is all You Need). Al suo fianco, la stessa interprete di Haevnen, Trine Dyrholm, rispetta e centra le aspettative del pubblico, affiancata da un vero gentleman, Pierce Brosnan, tra i più amati 007 del grande schermo.
È il confronto tra maturità e processo di costruzione della stessa, visto non nell’ottica di uno step by step anagrafico, spesso rovesciato, che si presenta ed affronta nel film danese, dentro il file rouge dell’amore. Se l’amore è tutto quello di cui si ha bisogno, è anche l’unico motore infallibile per mente ed azione.
Incontrati grazie ad uno spiacevole incidente, Philip-Brosnan e Ida-Trine Dyrholm riusciranno a far sbocciare il più antico e potente sentimento del mondo. Una rosa che nasce tra mille spine: mariti infedeli per superficialità e mancanza di nerbo – donne meravigliose dal destino sfortunato – ragazzi incerti e ancora in fase di maturazione della propria identità, impossibile da far emergere, prima che abbiano affrontato con coraggio il naturale taglio del cordone ombelicale, che li ha nutriti fino a qual momento – un uomo adorabile, la cui tragedia umana ne ha deturpato la sensibilità, in modo apparentemente irreversibile. Ecco la mano della donna che è nella regista danese, qui a Venezia Fuori Concorso: sarà Trina a rappresentare il tassello mancante nella vita di Philip ed è ancora lei l’artefice della sua vittoria sul male più tremendo, il cancro.
Come è brava a non cadere nei cliché la Beir, anzi li distrugge per un risultato ancora più potente! Perché una donna è bella anche se la chemio ha distrutto forse l’elemento fisico più rappresentativo della femminilità: i capelli.
È una commedia sì ma i toni sono amari, sono reali, non patinati e la poesia è offerta mirabilmente dal Nostro Belpaese che fa da sfondo al film: i due ragazzi organizzano il loro matrimonio in Italia, a Sorrento, tra i suoi splendidi limoni. Ed è qui che la due famiglie, in un gioco duro di convivenza forzata, nello spazio di un weekend, dovranno esprimersi con l’autenticità che la circostanza ed il confronto urgente richiedono. I buoni e i cattivi ci sono in entrambe le famiglie, anche se sono incrociati: il marito di Ida fa da controcanto alla cognata di Philip ma a differenza di questa ha meno personalità, più che un cattivo è uno che va dove lo porta il vento. Anche Philip mostra maggior debolezza, dietro la scorza del burbero, rispetto a Ida che si veste di dolcezza. Lui si chiude al mondo, dopo la perdita dell’amata moglie. Ida combatte contro il cancro e combatte anche per la coesione della famiglia, finché le ragioni di rottura e cambiamento non si faranno troppo urgenti per essere taciute.
La delicatezza è la forza di questa donna straordinaria, che non ha bisogno di movenze da manuale per risultare femminile ed affascinante. Solo il gesto di Philip - finalmente un uomo che sa correre dietro ad una donna, senza il timore di perdere di virilità né di fascino (alla sua seconda volta, in questo senso) – riuscirà a far fiorire un sentimento nascente in entrambi, sia pur carico di paure e grossi ostacoli, che egli saprà affrontare come solo un vero uomo sa fare. Brosnan è bravo a spogliarsi dei panni da sex-symbol - sia pur non del tutto ma non era necessario – e offre al ruolo quell’autenticità magica che un attore raggiunge, a costo di una dolorosa collisione tra arte e vita. La tragedia vera è espiata e omaggiata attraverso il forte impegno che ogni ruolo richiede e che renderà, forse, un po’ più sopportabili dolori di simile portata, vissuti, sfortunatamente, nella realtà.
Il tema della pellicola non è certo originale ma lo è il modo in cui viene trattato dalla sceneggiatura e dalla regia. Anche le musiche, un po’ datate, sono quanto agli stranieri arriva della musica di Casa Nostra. E se si tocca l’ovvietà con That’s amore, la si può accettare nell’ottica dell’universalità e dell’atemporalità del tema dominante del film. Dunque, è l’amore stesso che impone un inequivocabile richiamo ai classici, senza essere troppo italiani, però, come sarebbe stato nel caso in cui la Beir avesse attinto al Nostro Melodramma, in omaggio al Paese in cui ha girato.
Margherita Lamesta