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Dove va la Libia?

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La complessità dello scenario che si sta delineando in Libia e l'interesse che le vicende di questo Paese generano in Italia, sia per ragioni legate al passato coloniale sia per la vicinanza geografica, hanno indotto il Dipartimento di Studi Storici Geografici e Antropologici della Facoltà di Lettere e Filosofia della Terza Università di Roma ad organizzare un seminario dal titolo: ”Dove va la Libia? Dinamiche interne e responsabilità internazionali”. L'incontro, finalizzato a creare un'occasione di riflessione sulla crisi che dalla metà di febbraio ha investito i Paesi dell'Africa che si affacciano sul Mediterraneo, si è tenuto il 21 Marzo ed ha visto la partecipazione di Anna Bozzo, Docente di Storia della Civiltà Arabo Islamica presso la Facoltà che ha ospitato il seminario, il Professor  Leopoldo Nuti ed il Professor Luigi Goglia, rispettivamente Docenti di Storia delle Relazioni Internazionali e di Storia dell'Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, e la Dottoressa Claudia Gazzini, membro dell'Istituto Universitario Europeo di Firenze.Dopo una breve introduzione da parte della Prof.ssa Bozzo che ha ricordato ai numerosi presenti come già nel 2006 la Libia fosse stata teatro di manifestazioni in seguito alla vicenda delle caricature del Profeta Maometto, manifestazioni represse con la forza dal regime di Muammar Gheddafi, la parola è passata alla Dott.ssa Gazzini. Quest'ultima, esperta di vicende libiche e da sempre attenta alle evoluzioni socio-politiche del regime di Gheddafi, ha sottolineato come le manifestazioni  svoltesi a Bengasi e le successive violenze conseguenti al tentativo di repressione da parte del regime abbiano colto di sorpresa non solo il governo locale, ma anche l'opposizione e gli analisti internazionali.Per differenti ragioni infatti il regime libico non era considerato in discussione.Una disponibilità finanziaria importante grazie ai proventi derivati dall'estrazione del petrolio, un tasso di disoccupazione sensibilmente inferiore rispetto ad altri paesi dell'area come Tunisia ed Egitto e soprattutto un efficace controllo da parte dell'intelligence libica, sembravano porre al sicuro il regime di Muammar Gheddafi dai movimenti di protesta che hanno infiammato i Paesi del nord Africa.La letteratura accademica internazionale considerava saldo il regime libico che solo un anno e mezzo prima delle violenze aveva celebrato in pompa magna il 40º Anniversario della Rivoluzione guidata da Gheddafi stesso, vedendo nel figlio Khamis il suo certo successore.La stessa comunità internazionale ha sottovalutato la situazione nel Paese nord-africano. Con l'annullamento delle sanzioni economiche da parte delle Nazioni Unite avvenuto nel 2004, le relazioni internazionali libiche hanno beneficiato dell'interesse di molti Paesi desiderosi di siglare accordi con il regime di Gheddafi per accedere alle straordinarie risorse di gas e petrolio di cui la Libia dispone. Tale fase di intense relazioni bilaterali è culminata tra il 2007 e il 2008 con una serie di accordi con i governi di USA e Gran Bretagna e successivamente con il Trattato di amicizia tra Italia e Libia del 2009 con cui il nostro Paese ha riconosciuto un risarcimento alla Libia in virtù dei danni causati dal passato coloniale.Una serie di intese internazionali che hanno garantito a Gheddafi legittimazione e autorevolezza sia all'interno del proprio Paese sia nell'Organizzazione dell'Unione Africana, di cui Muammar Gheddafi, uno dei maggiori finanziatori, ha rappresentato uno dei leader più impegnati come antagonista del neocolonialismo e dell'imperialismo occidentale.Si tratta di elementi che sembravano porre la Libia al sicuro, ma che sono poi risultati essere errori di valutazione.Lo stesso sproporzionato uso della forza da parte del Regime libico perpetrato nei confronti degli insorti durante le manifestazioni di febbraio, ha forse rappresentato una ostentazione di sicurezza che ha determinato indignazione negli appartenenti al governo libico e la conseguente implosione dall'interno del regime.Inoltre la Risoluzione delle Nazioni Unite 19/73, con la quale l'organizzazione ha legittimato un intervento militare per garantire una “no fly zone” al fine di tutelare i civili, contiene degli elementi che non favoriscono una riduzione della tensione in Libia. Innanzitutto regole di ingaggio troppo vaghe che, se da una parte limitano le azioni militari ad azioni aeree, dall'altra garantiscono alla coalizione di poter ricorrere a “tutte le misure necessarie per porre fine all'assedio dei civili”, che dunque non escludono il ricorso a truppe di terra. A non essere ben delineata, come ha sottolineato il Prof. Nuti, è anche la strategia di uscita dal conflitto. Tale limite rischia di tramutare i cittadini libici non favorevoli al regime in sostenitori di Gheddafi, non accettando un intervento militare dai contorni poco definiti nel proprio Paese.Infine la Risoluzione delle Nazioni Unite gode di una legittimazione limitata tra i cittadini libici avendo ricevuto il contributo ed il consenso della Lega Araba ma non dell'Unione Africana.L'analisi della crisi libica dunque conferma tutta la complessità dello scenario che si sta profilando.Ad essere chiaro è solo un elemento. Come ha sottolineato il Prof.Goglia,dopo oltre un anno dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che avrebbe dovuto garantire all'Unione Europea una più incisiva capacità di intervento nelle relazioni internazionali, alcuni tra i Paesi fondatori dell'istituzione continentale ne hanno palesato tutti i limiti. Lungo è ancora il cammino da compiere affinchè i Paesi europei riescano ad esprimere una politica estera comune. Da quanto sopra sintetizzato si evince che la complessità degli scenari e l'importanza degli interessi in gioco rendono più che mai necessaria una riflessione in seno alle istituzioni dell'Unione Europea.                   Fabrizio Giangrande

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