La dieta mediterranea fa bene alla salute. Ma italiani, greci e spagnoli sono i primi a non seguirla
Studi recenti evidenziano l’importanza della dieta mediterranea nella prevenzione delle malattie croniche, come i disturbi cardiovascolari, i tumori, il diabete, l’ipertensione e l’osteoporosi.
Un gruppo di ricerca dell’istituto di Nutrizione e Tecnologia degli alimenti dell’università di Granada sta conducendo uno studio sul modo in cui le cellule del nostro organismo reagiscono alle aggressioni esterne che provocano il tumore del pancreas. I ricercatori spagnoli, coordinati dal professor Emilio Martínez de Victoria Muñoz, direttore dell’istituto, hanno modificato la composizione della membrana di alcune cellule del pancreas aggiungendo componenti dell’olio di oliva e del pesce e antiossidanti naturalmente presenti in frutta e verdura – ingredienti fondamentali della tradizionale dieta mediterranea. I risultati sembrano dimostrare che l’esposizione delle cellule pancreatiche a certe sostanze modifica la loro funzionalità, rendendole più resistenti alle aggressioni. Il modo in cui le cellule vengono “nutrite” dall’esterno, quindi, aiuta a prevenire l’insorgenza di malattie croniche, che oggi rappresentano la principale causa di mortalità nel mondo occidentale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato la stretta correlazione fra le malattie croniche come il diabete, l’obesità, l’ipertensione, e le cattive abitudini alimentari, lo stile di vita sedentario e l’elevato consumo di alcolici. Secondo le previsioni dell’OMS, entro i prossimi quindici anni raddoppieranno i casi di diabete del secondo tipo.
Oggi, però, è possibile contrastare questa tendenza: basta modificare la dieta e le abitudini di vita - avverte Martinez de Victoria - per prevenire l’80% delle malattie cardiovascolari e fino al 40% dei tumori.
Dieta mediterranea, addio
La dieta mediterranea tradizionale, ricca di frutta e verdura e povera di proteine di origine animale, non conquista più i popoli che l’hanno inventata. Si moltiplicano i dati allarmanti sulla escalation di obesità nei Paesi che si affacciano sul bacino mediterraneo, Grecia, Spagna e Italia in testa.
Mentre sono sempre più numerosi gli studi internazionali che confermano gli effetti benefici della dieta “povera” dei nostri padri, le statistiche ci dicono che le abitudini alimentari dei popoli mediterranei sono profondamente mutate negli ultimi 40 anni. Il risultato? Secondo Josef Schmidhuber, economista senior della FAO, il cibo che mangiamo oggi è “troppo grasso, troppo salato e troppo dolce”.
In una ricerca presentata al California Mediterranean Consortium, Schmidhuber dimostra che dal 1962 al 2002, in quindici paesi europei esaminati, l’apporto quotidiano di calorie è aumentato del 20%, ma questo valore sale al 30% se ci spostiamo nel sud dell’Europa. La Grecia guida la classifica dei Paesi “sovrappeso”. Nella “black list” troviamo anche Italia, Spagna, Portogallo Cipro e Malta.
In Spagna, 40 anni fa – osserva Schmidhuber – i lipidi costituivano il 25% della dieta, oggi hanno raggiunto il 40%.
Tanti i fattori alla base di questa trasformazione delle abitudini alimentari: il diffondersi dei supermercati, il cambiamento dei sistemi di distribuzione, il mutamento degli stili di vita e della struttura familiare tradizionale: le donne lavorano fuori casa, sempre più spesso le famiglie mangiano nei fast food.
Buone intenzioni, cattive intenzioni
Perché consumiamo sempre più trash food?
In un recente articolo apparso sul Journal of Nutrition Education and Behavior, alcuni ricercatori olandesi hanno evidenziato che non c’è collegamento tra l’”intenzione” di mangiare e il comportamento alimentare. Dopo aver presentato a un gruppo di quasi 600 volontari la scelta fra quattro possibili snack – una mela, una banana, una caramella e una cialda di melassa, oltre la metà dei partecipanti ha optato per lo snack “sano”, ossia la mela o la banana. Quando però, a distanza di una settimana, i ricercatori li hanno invitati a consumare lo snack, il 90% dei volontari ha cambiato idea e ha scelto la caramella o la focaccina dolce. La mancanza di correlazione tra intenzione e azione, secondo i ricercatori, dipende dal fatto che l’intenzione è sottoposta a controllo cognitivo, mentre l’azione risponde ad un impulso immediato e non cosciente.
Solo chi “pianifica” coscientemente uno stile di vita più sano e si abitua a scegliere cibi salutari, avrà una maggiore probabilità di essere coerente con le proprie intenzioni. Metà della popolazione europea, però, secondo i ricercatori, non avrebbe “nessuna intenzione” di modificare le proprie scelte alimentari né di adottare uno stile di vita più sano, ecco perché, al momento di “agire”, si ferma all’intenzione e opta per il junk food.
Per approfondimenti:
FAO, “Med people shun med diet. Overweight rising in region”, 29 Luglio 2008
http://www.fao.org/newsroom/en/news/2008/1000871/index.html
Pascalle L.G. Weijzen, Cees de Graaf, Garmt B. Dijksterhuis, “Discrepancy between Snack Choice Intentions and Behavior”, VOL. 4, Issue 5, Settembre 2008, pagg. 311-316
http://www.jneb.org/article/S1499-4046(07)00934-7/abstract
Veronica Rocco