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Armi chimiche: tra i primi ad usarle i Persiani nel 256 d.C.

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Il giallo di Dura-Europos: nuovi studi svelano che i Persiani usarono armi chimiche per espugnare la fortezza e sconfiggere i Romani

Ad uccidere i 20 soldati romani di cui restano tracce negli scavi archeologici di Dura-Europos, la cittadella siriana distrutta dall’esercito persiano nel 256 d.C., non furono gli assalti di lance e spade, ma qualcosa di molto più insidioso. A sostenerlo è Simon James, ricercatore presso l’università di Leicester, che ha presentato i risultati della sua ricerca al convegno annuale dell’Archeological Institute of America (8-11 gennaio 2009).

Secondo James, ci sono prove schiaccianti per dimostrare che l’esercito dei persiani Sassanidi ricorse ad un metodo molto più rapido delle armi convenzionali per stanare i romani rinchiusi all’interno della città-fortezza: una miscela letale di bitume e cristalli di solfato che, una volta incendiati, sprigionano un fumo denso ed asfissiante.

Negli anni ’30 del secolo scorso gli scavi archeologici portarono alla luce i corpi di 20 soldati romani in armi, accatastati l’uno sull’altro, lungo una delle strette gallerie in cui l’esercito romano si era rifugiato per difendersi dall’assedio del potente esercito Sassanide guidato dal re Ardashir. Per espugnare la città, i persiani usarono ogni mezzo, scavando profonde mine sotto le mura per farle crollare.  Finora gli archeologi non sono mai riusciti a chiarire le circostanze che provocarono la morte di quei 20 soldati romani. La cronaca del lungo e sanguinoso assedio, infatti, non è riportata nei testi antichi, ma è stata ricostruita dagli archeologi in base alle testimonianze trovate nel sito mesopotamico.

James ha deciso di “riaprire” un caso che sembrava ormai archiviato dagli storici, e ha rivelato quella che potrebbe essere la prima testimonianza di “guerra chimica” nella storia. Quando la mina dei persiani intercettò la contromina scavata dai romani, che speravano di impossessarsi della galleria nemica, i due eserciti si scontrarono in un violento corpo a corpo, nel quale persero la vita 20 soldati romani. L’esercito, impaurito, si ritirò e sigillò la mina per impedire ai persiani di entrare in città attraverso la galleria.  I Persiani a loro volta ammucchiarono i cadaveri dei nemici davanti all'ingresso sigillato per impedire altre fughe e per sgomberare la mina romana che fu incendiata usando una catasta di mantelli e zolfo.

I combattimenti si erano svolti in un tunnel alto appena 1.6 metri e lungo 11. E’ difficile immaginare che i persiani abbiano potuto uccidere 20 uomini in uno spazio così ristretto usando armi convenzionali. Nella galleria gli archeologi hanno trovato tracce di bitume e cristalli di solfato che i Sassanidi usavano per bruciare le mine nemiche, “I Persiani – spiega James – probabilmente si erano accorti che i romani stavano costruendo una contromina e hanno teso un agguato. Credo che i Sassanidi abbiano messo bracieri e soffietti all’interno della galleria e quando i romani hanno fatto irruzione nel tunnel, hanno bruciato sostanze chimiche liberando nell’aria gas asfissiante. Nel giro di pochi minuti i romani, ignari di quello che stava accadendo, sono morti soffocati”.

L’uso di armi chimiche era noto nell’antichità classica, come testimoniano molti testi dell’epoca, e sia i romani che i persiani dovevano conoscere molto bene simili tattiche. Il gas usato dai persiani non fu in grado di far crollare le mura della cittadella, ma in qualche modo l’esercito dei Sassanidi riuscì a entrare in città. Gli abitanti di Dura-Europos e i loro difensori furono ridotti in schiavitù e deportati in Persia. La città fu definitivamente abbandonata e cadde in rovina.
Solo nel 1920, durante le campagne anglo-inglesi nel Medio Oriente, le truppe indiane che avevano scavato una trincea vicino alle mura sepolte della città-fantasma, scoprirono degli splendidi affreschi che raffiguravano un sacrificio agli dei. Fu l’inizio di una vasta campagna di scavi archeologici, durati fino ai giorni nostri, che hanno portato alla luce le vestigia di una città che per secoli era stata un importante crocevia di scambi commerciali fra est e ovest. Affacciata sul fiume Eufrate e fondata dai Seleucidi nel 300 a.C., Dura-Europos fu oggetto di aspre contese perché era la la via di accesso alla Siria e alla Mesopotamia. Per oltre un secolo la città fu il più orientale possedimento romano in Siria, fino alla distruzione avvenuta ad opera dei Sassanidi, quando il re Ardashir decise di riconquistare tutti i territori romani che spettavano di diritto ai Persiani.


Approfondimenti:


Simon James, “Death in the Dark, Blood in the Streets: New Insights into the Siege and Fall of Dura-Europos”, University of Leicester (abstract in inglese)
http://www.archaeological.org/webinfo.php?page=10248&searchtype=abstract&ytable=2009&sessionid=6B&paperid=1821

Simon James, Dura-Europos, ‘Pompeii of the Syrian Desert’
http://www.le.ac.uk/ar/stj/dura.htm

Francesco Defler

 

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