Il male Paganini
La storia del grande genio del violino Niccolò Paganini è costellata di leggende misteriose ed inquietanti, a cominciare dalla sua straordinaria bravura che non ebbe mai emuli né paragoni, per continuare con la tanto nota diceria del suo patto con il diavolo e terminare con la sua morte, avvenuta a Nizza nel 1840.
Ma ciò che di più sorprende è la sua storia clinica, perché le malattie che lo tormentarono nel corso della vita furono moltissime, e tutte gravi, tanto che l’esservi sopravvissuto sino a raggiungere l’età adulta è un fatto inspiegabile ancora oggi.
I suoi malanni iniziarono quando era ancora un bambino di pochi anni, e fu dato per morto dopo una febbre misteriosa (forse un attacco di morbillo). Fu solo per un miracolo che si salvò, perché, già avvolto in un sudario e pronto alla sepoltura, qualcuno si accorse di un lievissimo movimento del braccio, sottraendolo così ad una prematura tumulazione.
La sua carriera strepitosa iniziò prestissimo, ma, al contrario dei suoi successi, delle tournée e di altre vicende di tipo professionale, e la sua storia personale è gravata da ombre lunghissime, e per quanto riguarda la salute nulla gli fu risparmiato. Si racconta infatti che fosse continuamente tormentato da dolori d’ogni genere, reumatismi, artriti, artrosi, vari malanni di natura intestinale e da un paio di malattie veneree, e aveva in più una malformazione congenita alla mano sinistra per cui l’arto aveva le sembianze di un ragno disarticolato (la Sindrome di Marfan). Fu inoltre afflitto da una bronchite cronica - aggravata dalla gran quantità di oppio che fumava - e inoltre gli venne una brutta osteomielite che lo fece quasi impazzire dal dolore. Dentisti incompetenti gli estrassero tutti i denti inferiori senza anestesia, e dovettero immobilizzarlo con la forza. Aveva un viso scavato ed un colorito smorto, quasi giallastro, forse per problemi di fegato, e tra l’altro mangiava pochissimo, così che il suo organismo era debole e privo degli alimenti necessari.
Per cercare di lenire il dolore ingeriva in continuazione medicine d’ogni tipo, mercurio in dosi massicce, sciroppi, impasti, unguenti e medicamenti artigianali, tutte cure sbagliate che ebbero come conseguenza l’insorgere di una cistite cronica tramutatasi con il tempo in una orchite. Lo sottoposero a salassi con delle sanguisughe, e fu una tortura insopportabile. Infine (come se non bastasse), sopraggiunse una laringite di natura sconosciuta che lo rese muto, anche se la voce del suo violino era mille volte più esplicita di ogni parola.
Ammalatosi infine di tubercolosi, in punto di morte non riuscì a farsi capire da quanti gli erano intorno, ed allora dissero che aveva rifiutato i sacramenti. Niente sepoltura in terra benedetta, quindi. Alla stampa vietarono persino di citare il suo nome.
Il suo cadavere, nella medesima e logora finanziera nera che indossava durante i suoi concerti, fu deposto in una bara con sopra una lastra di vetro ed esposta in un deposito del pesce, perché nessun cimitero voleva ospitarlo. Gli trovarono un posto vicino ad un oleificio, ma gli operai che vi lavoravano, per sfregio, ne imbrattarono la tomba. Lì restò per un bel po’ di tempo, fino a che non lo portarono definitivamente a Parma nel 1876.
Marina Pinto