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Spezie del Marocco: lo zafferano

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Spezie del Marocco: lo zafferano

La regione sud-occidentale del Marocco, compresa fra Taliouine, Zagmouzen e Agadir-Melloul, è famosa in tutto il mondo per le sue vaste coltivazioni di zafferano (Crocus sativus, za 'afran in arabo). Difficile risalire alle origini di questa antica tradizione, ma pare che fosse già menzionata nei manoscritti marocchini del XVI e XVII secolo d.C.

Le prime testimonianze sulla presenza di questa pregiata spezia nel nord Africa risalgono al X-XI secolo e compaiono nei diari di viaggio di Al-Biruni e dell'andaluso Al-Bekri, il quale visitò le coltivazioni di zafferano di Tebassa, nell'Algeria orientale.

Lo zafferano, usato anche per tingere la seta e fabbricare speciali inchiostri per le scritture del Corano, ha una storia molto antica e una geografia varia e complessa: era noto in Grecia, in Sicilia e nella Cirenaica (l’attuale Libia) ai tempi di Dioscoride (I secolo d.C.) e nel 550 a.c. in Egitto; in tempi ancora più remoti nel Medio Oriente e nel Cashemere. L' "oro rosso", come viene spesso definito, fu con molta probabilità introdotto nel nord Africa dai fenici e in seguito commercializzato dai romani, che lo utilizzavano per purificare i templi, tingere i tessuti e preparare la cosiddetta "teriaca", rimedio universale di origini antichissime, usato con composizioni diverse per curare le più svariate malattie e come antidoto contro il veleno di vipera. Secondo un'altra ipotesi, sarebbero stati gli ebrei, giunti in Africa tra l'VIII e il IV secolo a.c., a portare questa spezia nel continente. Non si può escludere, comunque, che la cultura dello zafferano sia stata introdotta dagli arabi provenienti dall'Andalusia.

Lo zafferano, che appartiene alla famiglia delle Iridacee, predilige terreni calcarei e poco argillosi con clima soleggiato, caratterizzato da inverni freddi ed estati molto calde e asciutte. E’ una pianta sterile, ossia priva di semi. L'unico modo per farla moltiplicare è attraverso il bulbo (detto cormus). Questa caratteristica spiega, almeno in parte, gli alti costi della spezia, la cui produzione, più lenta rispetto ai comuni cereali, rischia addirittura di scomparire se esposta a determinate condizioni esterne, come siccità o epidemie.

I bulbi di Crocus sativus vengono interrati fra agosto e settembre e irrigati fino a gennaio, in attesa delle grandi piogge primaverili che ne portano a compimento lo sviluppo. Ad un anno dalla semina, le piante fioriscono, grazie alle piogge di settembre; la raccolta, che si svolge fra metà ottobre e metà novembre, inizia il mattino presto, quando i fiori sono ancora chiusi, per evitare che si rovinino durante il trasporto. Le donne impegnate nella raccolta li sezionano manualmente al di sotto della corolla, quindi separano gli stigmi dal resto del fiore e li lasciano seccare sotto il sole per due ore o li conservano per un giorno intero in un luogo ombreggiato ed asciutto. Dopo questo trattamento gli stigmi perdono 4/5 del peso originario e sono pronti per essere conservati al buio in recipienti chiusi. La spezia è ricavata dagli stigmi dei fiori essiccati e lasciati riposare alcuni giorni in modo da sprigionare il caratteristico aroma.

Ogni ettaro di terreno coltivato produce in media tra duemila e quattromila grammi di stigmi secchi ogni 4 anni: vuol dire che per ottenere un Kg di zafferano secco si utilizzano 150.000 fiori di Crocus sativus. La complessa procedura di coltivazione, raccolta e conservazione spiega il motivo per cui lo zafferano originale è così costoso, anche se – come osserva Jamal Bellakhdar nel suo libro dedicato alle piante del Maghreb - nel nord Africa si pratica una forte speculazione sul prezzo di questa spezia e la lavorazione ne giustifica solo in parte gli alti costi.

Se, girando per i mercatini della medina, vi ritrovate nel souk el-'attarine, il tipico mercato delle spezie, non mancherà il commerciante senza scrupoli che cercherà di vendervi come "purissimo" zafferano, ad un prezzo ovviamente ridotto, un'altra spezia che con il Crocus sativus non ha nulla in comune, eccetto il colore: il cartamo (Carthamus tinctorius L., dall’arabo qurtum, che significa “tingere”). Il cartamo è usato per lo più come colorante alimentare ma non ha né l'odore né l'aroma del Crocus sativus. Le donne marocchine lo sottopongono ad uno speciale trattamento per eliminarne il pigmento giallo dominante ed ottenere una tinta rossa, il cosiddetto "vermiglio di Spagna", usata come fard per le guance.

Riferimenti ibliografici:
Bellakhdar, Jamal, “Le Maghreb a travers ses plantes”, Editions Le Fennec (2003)

Link consigliati:
Veronica Rocco, “Spezie del Marocco: cumino, carvi, nigella” Scienzaonline 21 Gennaio 2009

Veronica Rocco

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