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Uomo e scimpanzè: un legame anche ‘archeologico’

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Nasce una nuova archeologia, quella che studia come vengono utilizzati gli strumenti nei primati in modo da ricostruire l’evoluzione di questo comportamento nella nostra specie. Il nuovo approccio scientifico, ora pubblicato su Nature, porta la firma di un team internazionale di ricercatori, tra cui Elisabetta Visalberghi dell’Istc-Cnr

Fino a poco tempo fa si riteneva che l'archeologia fosse la scienza delle culture umane antiche, dedita alla scoperta e all’analisi dei manufatti dei nostri progenitori. Invece, un articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature è destinato a rivoluzionare questa visione, estendendo l’approccio archeologico anche allo studio delle attività di uso, costruzione e accumulo di strumenti nei primati non umani, le specie animali a noi evolutivamente più vicine.

“I primati non umani rappresentano un ottimo modello per lo studio della tecnologia litica, dato che sono sempre più numerose le evidenze di popolazioni selvatiche che usano strumenti”, dice Elisabetta Visalberghi, primatologa dell’Istituto di scienze e tecnologia della cognizione (Istc) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma e co-autrice dell’articolo. “Si va dagli scimpanzé della Costa d’Avorio, che usano percussori e incudini per rompere noci troppo dure da aprire altrimenti, ai cebi – scimmie sudamericane che in Brasile usano pietre sia per rompere noci sia per estrarre tuberi dal terreno – fino ai macachi che, in Tailandia, con una tecnica simile rompono il guscio di granchi e molluschi”.

Lo studio degli elementi caratteristici della tecnologia litica, dalla scelta della materia prima ai vari metodi di scheggiatura alle tradizioni culturali dei diversi gruppi, unisce così primatologi e archeologi in un nuovo campo di ricerca meglio definito come ‘archeologia dei primati’. “Questa nuova disciplina nasce dal presupposto che, qualunque organismo accumuli o modifichi materiali durevoli come la pietra, lascerà una traccia sotto forma di reperto archeologico”, prosegue la primatologa. “In questo senso sarà possibile fornire per la prima volta un quadro comparativo per la comprensione del contesto biologico, ambientale e sociale che ha favorito l’evoluzione comportamentale dei primati”.

In questo contesto è stato avviato il progetto internazionale ‘Pounding working group’ che avrà lo scopo di comparare il comportamento di uso di strumenti, in particolare di percussori per rompere noci e altri alimenti duri, negli scimpanzé, nei cebi e negli ominini. È noto, infatti, che, dall’analisi delle pietre scheggiate prodotte dai nostri progenitori e dal tipo di fratture che presentano, sia possibile risalire al loro grado di destrezza motoria e comprenderne le capacità cognitive. “Sebbene i primati non umani non sembrano in grado di produrre intenzionalmente pietre scheggiate, può accadere che un percussore si rompa accidentalmente durante l’uso”, spiega Visalberghi. “Poiché si ipotizza che eventi simili abbiano portato i nostri progenitori a scoprire casualmente come produrre pietre scheggiate, in questo senso lo studio dei primati non umani attuali potrà permettere di ricostruire l’origine del comportamento di produzione di strumenti nei nostri progenitori estinti”.

Ricerche di questo tipo suscitano nuove domande sia per gli archeologi sia per i primatologi e potrebbero avere importanti implicazioni. “La notevole similitudine tra i percussori utilizzati da cebi e scimpanzé e l’apparente assenza di uso di strumenti nel bonobo (o scimpanzé pigmeo) fa supporre, ad esempio, che la capacità di usare strumenti sia comparsa indipendentemente e si sia perduta più volte nel corso di milioni di anni in diverse linee di primati estinti”, sostiene la ricercatrice. “Inoltre, grazie all’aiuto dei primatologi, gli archeologi potrebbero rinvenire industrie litiche più antiche di quelle di Olduwai (le più antiche finora conosciute, risalenti a circa 2,6 milioni di anni fa) e una simile scoperta renderebbe necessario riconsiderare le tradizionali classificazioni delle prime industrie litiche”.

Primi tentativi di applicazione pratica dei metodi dell’ ‘archeologia dei primati’ sono attualmente in corso in Guinea sugli scimpanzé e in Brasile sui cebi. “Combinando le classiche tecniche d’indagine archeologica per l’analisi dei manufatti con l’osservazione del comportamento spontaneo di individui allo stato selvatico si potrà valutare in che misura i primati non umani siano selettivi nella loro scelta di materiali da usare come strumenti”, conclude Visalberghi. “ Mentre la comparazione tra i reperti ossei dei nostri progenitori e gli scheletri dei primati attuali darà modo di comprendere quali caratteristiche anatomiche abbiano permesso l’acquisizione del comportamento di uso di strumenti tanto nei primati attuali quanto in quelli estinti”.

CNR

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