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Sviluppo sostenibile: una lezione dall'Africa

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L’Africa verde e i crediti carbone

Rimboscare, sostenere lo sviluppo verde, ma anche l’educazione: sono gli obiettivi dei progetti che le industrie inquinanti del nord finanziano in Africa, acquistando in questo modo dei crediti-carbone per poter emettere CO2. 

Le grandi potenze, a partire dagli Stati Uniti (ma l’Italia non fa eccezione), hanno finora fatto davvero poco per la lotta all’inquinamento e al surriscaldamento della terra. Nonostante le difficoltà economiche e legate alla mancanza di sviluppo, dall’Africa arrivano invece importanti iniziative per la riduzione delle emissioni di gas serra.
 
Marocco
 
La prima società di crediti carbone africana è marocchina: si chiamerà Fondo capitale carbone del Marocco (FCCM), e dispone già di un capitale di 26,5 milioni di euro.
La nascita del progetto è stata firmata il 5 dicembre, e  rientra nel quadro del Protocollo di Kyoto sul cambiamento climatico, che impone una riduzione del 5,2% da qui al 2012 delle emissioni di gas serra, principali responsabili del riscaldamento del pianeta. Per contrastare il loro devastante effetto, le imprese inquinanti, concentrate nel nord del mondo, potranno sostenere progetti per la riduzione delle emissioni (tra le varie possibilità, il rimboschimento), ottenendo in cambio i cosiddetti “crediti carbone”.
 
L’FCCM dovrà intervenire nel settore delle energie rinnovabili, e sosterrà le imprese che rispondono ai criteri del meccanismo per lo sviluppo previsti nel Protocollo di Kyoto, le quali in cambio potranno beneficiare di crediti carbone per il decennio 2008-2017.
 
Il maggior azionista della società la Cassa di depostiti e di gestione del Marocco (CDG), con il 50%, poi il Fondo francese dei depositi e delle consegne con il 25%, infine la Banca europea degli investimenti, con il restante 25%.
 
 
Madagascar

Il Madagascar venderà 9 milioni di tonnellate di crediti carbone per proteggere, con i soldi dei paesi più inquinanti, una delle sue foreste più importanti, Makira Forest, che ospita la metà della biodiversità dell'isola, tra cui 22 specie di lemuri. Nel paese la deforestazione ha distrutto quasi il 90% del patrimonio ambientale, ma il governo ha permesso di arrestare questa tendenza, dichiarando 6 milioni di ettari come riserva naturale. Circa la metà dei soldi provenienti dai crediti carbone verranno investiti per sostenre le comunità che vivono nelle foreste, un quarto andrà invece alla conservazione delle foreste e il 15% sarà destinato ai programmi governativi per la conservazione dell’ambiente e per la lotta ai cambiamenti climatici.
 
Repubblica democratica del Congo
 
Anche la Repubblica democratica del Congo si sta mobilitando per i cambiamenti climatici: sull’altopiano dei Batéké, nell’ovest del paese, una rete formata da diverse organizzazioni non governative, sta realizzando una serie di progetti per il rimboschimento delle foreste. A sostenere economicamente queste iniziative le industrie inquinanti, che acquistano in questo modo dei crediti carbone. Ogni giorno un centinaio di lavoratori piantano ogni giorno tra i 5mila e i 10mila alberi di 35 specie diverse, alcune a crescita rapida come l’acacia, l’eucalipto e il pino, su una superficie di 4.500 ettari tra i fiumi Ufimi e Duale. Ma i finanziamenti non sostengono solo la crescita dell foresta: sostengono anche le comunità locali, l’agricoltura, e l’educazione.

Al momento questo resta un progetto pilota, ma le potenzialità sono enormi: la nuova foresta potrebbe stoccare fino a un milione di tonnellate di CO2 e generare fino a 6 milioni di dollari di crediti-carbonio, il potenziale di carbonio potrebbe toccare 2,8 milioni di tonnellate.
 

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