Vi ricordate l’uomo bionico, quello “da sei milioni di dollari”? dotato di eccezionali protesi d’acciaio, aveva gambe fortissime e una vista così acuta che era capace di vedere vicini oggetti anche lontanissimi. Forse, in un futuro non troppo lontano, questo potrebbe succedere davvero, grazie ai recenti sviluppi della nanotecnologia. Gli ingegneri dell’Università di Washington hanno realizzato delle lenti a contatto molto particolari, che combinano la sicurezza dei materiali delle lenti a contatto tradizionali con una sofisticata tecnologia elettronica fatta di circuiti e microchip.
La ricerca , coordinata da Babak Parviz, professore associato di Ingegneria elettrica, è stata testata in laboratorio su un gruppo di conigli e per ora sembra dare risultati soddisfacenti. A che cosa servono queste lenti? Permettono di visualizzare, sul proprio “schermo” visivo, dati, numeri, informazioni, che solo noi siamo in grado di leggere. Gli usi potenziali di queste lenti sono molteplici, fanno sapere i ricercatori di Washington. Piloti e guidatori potrebbero vedere la velocità del veicolo “in sovrimpressione” sul proprio campo visivo o leggere le indicazioni stradali senza distogliere lo sguardo dalla strada, i progettisti di videogames potrebbero usarle per immergere completamente i giocatori nella realtà virtuale senza limitarne i movimenti.
Le applicazioni sono molte e possono essere inventate dagli stessi fruitori, ben al di là di quelle che erano le intenzioni di chi ha progettato le lenti. L’obiettivo principale dei ricercatori, infatti, è quello di dimostrare che questa tecnologia è possibile e, soprattutto, sicura. La sicurezza è stata una delle maggiori difficoltà durante la fase di progettazione, poiché le lenti tradizionali sono fatte con materiali organici molto delicati e deperibili, che mal si adattano all’utilizzo di circuiti e sostanze tossiche normalmente utilizzati nell’ambito elettronico. Gli ingegneri sono riusciti a ricavare i circuiti da sottilissime sfoglie di metallo, spesse appena pochi nanometri, ossia un millesimo dello spessore di un capello, e a costruire minuscoli diodi che emettono luce. Hanno quindi letteralmente “vaporizzato” i circuiti sopra uno strato di plastica bucherellato, combinando assieme i singoli pezzi del circuito come i tasselli di un puzzle. Che cosa ha permesso di ricostruire pezzo per pezzo questo microscopico mosaico? L’azione molecolare di alcune forze capillari, come spiega Parviz, le stesse che consentono all’acqua di risalire dalle radici lungo il fusto di una pianta o di un albero.
Questo tipo di lente non corregge i difetti della visione, però può essere applicato ad una normale lente correttiva. Gli scienziati prevedono di potenziare questa tecnologia attraverso l’utilizzo di sistemi wireless alimentati con radio frequenze o cellule solari che permettono alle lenti di ricevere e trasmettere informazioni: insomma, una specie di bluetooth incorporato.
1. Per approfondimenti rimando al comunicato stampa dell’Università di Washington, “Contact lenses with circuits, lights a possible platform for superhuman vision”.
Veronica Rocco