85 milioni di dollari per un film che sembrerebbe una specie di salto nel buio. Le avventure del giornalista Tin Tin, iniziate più di ottant’anni fa, sono state fonte di ispirazione per le generazioni che hanno conosciuto la grande crisi del 1929 e il dramma della Seconda Guerra Mondiale. 200 milioni di copie vendute e traduzioni in 70 paesi, la materia era difficile e il ricordo del fumetto troppo radicato per accettarne la trasformazione in 3D. Inoltre, Spielberg per assicurarsi il risultato mette troppa carne al fuoco, fondendo tre albi a fumetti - Il granchio d’oro, Il segreto dell’Unicorno e Il tesoro di Rackham il rosso – il risultato, tuttavia, a tratti divertente ed elegante, non coinvolge del tutto. Il Nostro protagonista viene subito messo in ombra dallo spirito eroico del capitano di vascello Haddock, dedito al whisky ma unica persona in grado di risolvere l’enigma del Unicorno d’oro.
Dopo aver dato prova di un fantastico cinema d’intrattenimento come la saga del dr. Indiana Jones, ci si chiede come mai scomodare il ragazzo col ciuffo rosso all’insù di Hergè per offrirci le stesse tematiche e lo stesso spirito già esplorato a suo tempo. Per di più che il piccolo eroe non è conosciuto da chi è nato con il digitale ed è troppo caro a chi è solo un migrante – a volte forzato – verso l’era digitale. Alcune singole scene divertono - pirati, sceicchi, battaglie navali e inseguimenti aerei - siamo pur di fronte ad un indiscusso maestro ma l’emozione generale è un po’ quella di una sensazione di qualcosa che non riempie davvero. Lo scarto tra il fumetto trasformato in 3D lascia una frattura che impedisce allo spettatore di entrare davvero nel film, essere catturato dalla storia, tralasciando per un paio d’ore la realtà, fisicamente parlando, o se ci riesce, avviene solo in certi momenti.
Margherita Lamesta