Il tedesco Leander Haussmann, con Hotel Lux, in concorso alla sesta edizione del festival cinematografico romano, ci offre un singolare spaccato di Mosca e Berlino degli anni ’30, attraverso le vicende immaginarie e non di due attori di cabaret, Hans Zeisig-Michael Bully Herbig e Siggy Mayer-Juger Vogel. Entrambi sognano Hollywood, ma in realtà, secondo le parole del regista, il film “racconta la vicenda di un uomo che al momento sbagliato si trova nel posto sbagliato". Costretto a fuggire, infatti, Zeisig ripara a Mosca, rifugiandosi in un albergo che è anche un asilo politico. Il Lux è realmente esistito: era un albergo convertito, a metà degli anni Trenta, in alloggio del Comintern e degli antifascisti mondiali. Lì hanno preso alloggio, tra gli altri, futuri capi di stato. Da riparo quale avrebbe dovuto essere, inoltre, l'Hotel Lux in un attimo poteva trasformarsi in una trappola, perché anche i comunisti non scherzavano affatto se venivi sospettato di tramare contro Stalin.
“È il singolo che mi interessa.” – sostiene Haussmann – “Raccontare l'individuo dentro i grandi avvenimenti storici. L'individuo non si interessa della politica e della società fino a quando queste non gli impediscono di essere felice. Il film può essere letto come una metafora di ogni tempo. Dopotutto le dittature esistono ancora".
E la bella Frida-Thekla Reuten rincara la dose, affermando: “Del comunismo, di Stalin e delle violenze da lui perpetrate si parla ancora troppo poco. In un momento in cui i russi coltivano nostalgie per quel tremendo passato, era un dovere morale ricordare cosa accadeva a Mosca in quegli anni". il tono del film è scanzonato e il regista tedesco sa muoversi tra l’onda degli equivoci che i due cabarettisti cavalcano, senza forzare la mano né sul fronte della commedia né su quello del dramma, sia pur ripercorrendo, in modo dichiarato apertamente, la strada di uno dei più grandi maestri della commedia: Lubitsch. Il film gioca con la Storia ma non osa cambiare il suo racconto, lasciando lo spettatore in una trasognata leggera immaginazione che Stalin e Hitler, se fossero stati solo dei cabarettisti, sarebbero stati molto più innocui e, con talento, avrebbero conquistato meritatamente Hollywood, proprio come i protagonisti della pellicola lasciano immaginare. Meritato il premio alla colonna sonora che il Maestro Morricone, quest’anno presidente di giuria, ha voluto assegnare al film.
Margherita Lamesta