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L’orchidea d’acciaio – The lady di Luc Besson

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The lady, film d’apertura al Festival Internazionale del Film di Roma 2011, è un lavoro che persiste nel filone, intrapreso dal cineasta francese, volto a raccontare storie di eroine. L’”orchidea d’acciaio” birmana, Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991, ha il volto della diva malese Michelle Yeoh - Memorie di una geisha; La tigre e il dragone – promotrice e suggeritrice del soggetto. The Lady nasce così dalla passione congiunta di un' attrice e un regista per una piccola donna invisibile eppure monolitica.

 

Non è un film politico – ha dichiarato Besson in conferenza stampa – eppure non si sottrae alla magniloquenza di certi momenti cruciali dell’attivismo politico del Premio Nobel in oggetto. La vicenda umana, invece, è l’hardcore della pellicola, con un David Thewlis, nei panni del marito Michael Aris, fedele alla sua donna e ad una causa che comprende essere più grande dell’amore di una coppia. Lasciare i propri figli per vent'anni? il marito che ami e ti ama? Non andar da lui nemmeno quando sta morendo e sai che vorrebbe solo poterti abbracciare ancora una volta? Sono interrogativi che non hanno soluzione né risposta, se non calati dentro l’ideale superiore di chi antepone il suo Paese agli affetti più cari.

Eppure nel bilanciamento tra il pathos della vicenda personale e la grandezza delle scene politiche le due parti s’indeboliscono a vicenda. Sicuramente è un esempio di come dietro una grande donna ci sia un grande uomo, ribaltando un binomio generalmente sperimentato al suo contrario, eccezion fatta per Giuseppe e la Madonna... Purtroppo, però Besson non ha avuto accesso al materiale di esperienza diretta riguardante Aung San Suu Kyi e ciò ha contribuito sfavorevolmente alla realizzare della pellicola. Comunque, il merito del film sta' nell’aver tratteggiato una figura tutto d'un pezzo come Aung San Suu Kyi, accanto al personaggio di Michael Aris, suo marito, a tratti anche superiore a lei.

Capace di un’ironia ed un aplomb tipicamente inglesi, magistrale nel nascondere il dolore che lo attanaglia, Aris è sempre la mente di supporto nei confronti della moglie. Per le sofferenze e i sacrifici che lo condurranno fino alla morte per cancro, il professore inglese finisce per diventare il vero martire del film. È qui, infatti, l’elemento di confusione della pellicola, più un’apologia della figura del dott. Aris che di sua moglie, Premio Nobel per la Pace.

Eppure Aung San Suu Kyi è l’attivista birmana che ha combattuto, e continua a farlo, contro la sanguinaria dittatura dal suo Paese. Delicata come un fiore ma resistente alle intemperie di una esistenza di sacrifici e di condanne, Suu non si è mai arresa. Costretta ad una vita di isolamento per due decenni, resiste di fronte alle minacce di un governo che ha tentato in ogni modo di sopprimere la sua voce, resiste alle tragedie personali, sublimando il grande dolore personale proprio col persistere nella sua lotta, senza mai cedere. Certamente un esempio di democrazia e lotta non violenta che “aiuterà a non spegnere i riflettori su di lei e far riflettere i giovani” – sono state le parole di Michelle Yeoh. In finale, un film, che non coinvolge fino in fondo ma fa sognare che il marito ideale, il principe azzurro, a volte esiste in carne e ossa.

Margherita Lamesta

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