Il Jazz e l’improvvisazione, un binomio praticamente perfetto. L’arte di improvvisare costituisce uno dei tratti essenziali di questo genere musicale nato negli Stati Uniti nei primi anni del Novecento. Ogni volta che Miles Davis, grande interprete della musica Jazz negli anni ’50, saliva su un palcoscenico, potevate esser certi che la sua performance sarebbe stata unica e irripetibile.
Il tema musicale era sempre lo stesso, ma ogni sua interpretazione arrivava all’orecchio del pubblico in modo diverso. Improvvisare, infatti, significa costruire la musica man mano che si suona, partendo da una melodia di base e variandola continuamente. Questo stile, che non è esclusivo del Jazz ma che nel Jazz ha trovato la sua massima espressione, ha sempre affascinato non solo le platee ma anche gli scienziati, che si domandano qual è il segreto dell’arte di improvvisare, ossia quali meccanismi neurologici vengono attivati ogni volta che un musicista Jazz “improvvisa” una melodia. Oggi questo mistero appare meno oscuro, soprattutto grazie agli esperimenti condotti da due scienziati americani, Charles J. Limb, della Johns Hopkins University, e Allen R. Braun, del National Institute on Deafness and Other Communication Disorders .
I due scienziati hanno monitorato l’attività cerebrale di sei pianisti Jazz per scoprire quali aree del cervello si attivano più intensamente durante un’improvvisazione. I risultati della ricerca sembrerebbero dimostrare che l’arte di improvvisare corrisponde sia ad una riduzione dell’attività cerebrale legata all’autocontrollo e alla progettazione, sia ad un “picco” nell’attività creativa e dell’espressione personale. I sei musicisti sono stati inseriti in un grosso dispositivo di Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI), che registra il flusso sanguigno nel cervello e rileva il ritmo di attività delle varie regioni cerebrali. Gli artisti hanno quindi eseguito, su indicazione dei ricercatori, due tipi di esercizio: nel primo caso si trattava di suonare alcune note musicali in scala direttamente da uno spartito, per poi improvvisare una melodia utilizzando le stesse note. Nel secondo esercizio, invece, dovevano prima suonare una composizione imparata a memoria con l’accompagnamento di un quartetto Jazz, e poi “costruire” variazioni sul tema ascoltando lo stesso accompagnamento.
La risonanza magnetica ha messo in evidenza, durante gli esercizi di improvvisazione, una più intensa attività di una piccola area posta nella zona frontale del cervello: quella che “si attiva”, ad esempio, quando raccontiamo una storia che riguarda noi stessi. L’improvvisazione, invece, non sembra andare d’accordo con quella regione del nostro cervello legata soprattutto all’autocontrollo, alla pianificazione e alla censura delle proprie emozioni: quando i musicisti creavano melodie libere, improvvisate, la macchina registrava una vera e propria “disattivazione” di quella particolare area del cervello.
La creazione musicale, secondo Limb, nasce dall’auto espressione, che deve essere priva di condizionamenti per poter fluire liberamente e dar vita a nuove idee. Per questo motivo il musicista jazz, quando improvvisa, “spegne” l’interruttore dell’auto controllo e si abbandona al flusso delle emozioni.
Nuove scoperte sui meccanismi neurologici dell’improvvisazione potrebbero scaturire da futuri esperimenti su altri artisti, come i poeti, gli attori di teatro e i pittori.
Con il Jazz, lo spartito musicale perde tutta la sacralità che aveva nell’ 800 e diventa un foglio su cui il musicista “prende appunti”, scarabocchia accordi musicali che, durante l’esecuzione, verranno stropicciati e stravolti al punto da diventare irriconoscibili. L’improvvisazione, in realtà, è una pratica antica, che non nasce con le avanguardie del Novecento, ma accompagna la storia della musica occidentale sin dalle sue origini. Anche la musica classica, per quanto strano ci possa sembrare, lasciava molto spazio a questa tecnica: Beethoven, ad esempio, quando faceva il pianista a Vienna, partecipava a vere e proprie gare di improvvisazione. Solo nel XIX secolo, la musica cosiddetta “colta” tenderà a privilegiare la fedeltà di esecuzione rispetto alla capacità di improvvisare.
1. Limb CJ, Braun AR (2008) Neural Substrates of Spontaneous Musical Performance: An fMRI Study of Jazz Improvisation. PLoS ONE 3(2): e1679. doi:10.1371/journal.pone.0001679
Veronica Rocco