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Prolasso genitale, dopo i 50 anni ne soffrono 3 italiane su 10

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In data 27-03-2007
Comunicato Stampa Università Cattolica - Roma 

Anno 4
Edizione Marzo 2007


Prolasso genitale, dopo i 50 anni ne soffrono 3 italiane su 10

 

Domani un workshop internazionale al Policlinico Gemelli mette a confronto le tecniche chirurgiche, che rappresentano la migliore opzione terapeutica per un disturbo che compromette la qualità della vita delle donne.

Tre donne italiane su dieci dai 50 anni in su soffrono di prolasso genitale, una patologia che compromette seriamente la loro qualità di vita. Tra i maggiori responsabili del prolasso genitale è il trauma che segue già al primo parto.

Si stima che circa il 50% delle donne che partoriscono riportano un danno nei supporti pelvici.

Il prolasso genitale è una condizione invalidante che consiste nella discesa verso il basso e talvolta fuori dall'introito vaginale di una o più strutture pelviche. Infatti può interessare la vescica (cistocele), il retto (rettocele), l'utero in combinazioni e livelli di gravità differenti.

Il prolasso comporta implicazioni psicologiche e sessuologiche per la donna; talvolta si può accompagnare a deficit di continenza urinaria e fecale. Colpisce maggiormente donne di razza bianca con una età maggiore di 50 anni ma non è infrequente il suo riscontro anche in donne più giovani. Nella popolazione generale, in una fascia di età compresa tra i 20 e i 50 anni, il prolasso ha una prevalenza del 15% con incrementi relativi all’aumentare dell’età; mentre tra i 20 e i 29 anni la prevalenza è del 6,6%, sale invece al 30% nelle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni.

Spesso l’opzione chirurgica è inevitabile ed è la migliore risorsa per risolvere il problema. Ed è proprio per fare il punto su questi trattamenti che l’Istituto di Clinica ostetrica e ginecologica dell’Università Cattolica di Roma ha promosso il seminario intitolato “La chirurgia vaginale del prolasso genitale. Tecniche a confronto”, che si svolgerà domani, mercoledì 28 marzo, dalle ore 8.30, presso il Policlinico universitario Agostino Gemelli (Aula Brasca).

L’incontro prevede una sessione di chirurgia “live” nella quale verranno eseguiti interventi in diretta, dalle Sale operatoria della Piastra polifunzionale del Gemelli, con l’obiettivo di mettere a confronto le diverse opzioni chirurgiche, discusse “in tempo reale” tra i partecipanti al seminario e gli operatori.

Le equipe chirurgiche si avvarranno della presenza del prof. Bob Shull, dello Scott & White Clinic, Temple, Usa, uno dei massimi esperti nella medicina pelvica e nella ricostruzione pelvica. Negli Stati Uniti sono quattrocentomila le procedure chirurgiche eseguite ogni anno per prolasso genitale e incontinenza urinaria.

L’incidenza del prolasso genitale è molto elevata, ma solo il 30% delle donne che ne soffrono si rivolge allo specialista. La malattia viene vissuta dalle donne il più delle volte con rassegnazione perché l’imbarazzo e la vergogna le impediscono di affrontare l’argomento. Ma questo disturbo, se curato in modo adeguato, può essere risolto. “Il trattamento del prolasso genitale è prevalentemente chirurgico.

L’intervento prevede il rinforzo delle fasce presenti tra vescica e vagina anteriormente e vagina e retto posteriormente”, anticipa il prof. Alessandro Caruso, direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università Cattolica e promotore del workshop.

Le tecniche chirurgiche fino a oggi adottate si basano principalmente sulla ricostruzione del pavimento pelvico usando le strutture fasciali preesistenti; questo tipo di approccio è effettuato prevalentemente per via vaginale ed è associato spesso all'isterectomia.

“Ma proprio l'utilizzo di queste strutture ‘native’ spesso deboli - aggiunge Caruso - può esporre la paziente a rischio di recidiva, che secondo le diverse casistiche presenti in letteratura può oscillare tra il 5 e il 30 % delle pazienti operate a seconda dell’organo interessato (vescica, utero, retto)”.

È per questo motivo e anche per rendere l'intervento più semplice e meno traumatico che si è pensato all'utilizzo di materiali protesici (reti) che possano garantire una lunga tenuta e non richiedano la contestuale asportazione dell'utero. “I risultati però sono ancora preliminari e le maggiori perplessità su questo tipo di chirurgia sono legate ai rischi di erosioni e rigetto”.

Oggi, è possibile personalizzare la cura del prolasso, valutando l’importanza soggettiva dei sintomi e la presenza e la tipizzazione dei disturbi associati. Esistono, infatti, diverse tecniche chirurgiche pertanto l’isterectomia fortunatamente non è più l’unica soluzione. L’asportazione dell’utero comporta, infatti, notevoli conseguenze come una menopausa "immediata" con tutti i sintomi collegati: aumento di peso, insonnia, stanchezza, mal di testa, irritabilità, ansia, palpitazioni, vampate, rapporti sessuali difficili o dolorosi, ma soprattutto problemi psicologici e relazionali legati all’importanza di un organo collegato alla maternità e all’identità femminile.

“Fino a oggi – continua Caruso - il più delle volte si attuava la rimozione del viscere uterino per via vaginale (colpoisterectomia) e la ricostruzione dei piani fasciali, garantendo un supporto alla vescica e al retto. Nell’approccio transvaginale i dati della letteratura riportano tassi di successo simili per gli interventi di chirurgia vaginale quali: la sospensione alta ai legamenti uterosacrali, la sospensione al legamento sacrospinoso, alla fascia degli ileococcigei e la culdoplastica di Mac Call”.

I vantaggi della sospensione alta agli utero-sacrali rispetto a queste tecniche sono: la buona abitabilità e il mantenimento dell’asse longitudinale vaginale che forniscono una migliore funzionalità dell’organo. Dati della letteratura riportano percentuali di riuscita anatomica del 77-99% e di soddisfazione delle pazienti del 89-90%.

Il razionale di questo intervento è di connettere la cupola a un tessuto più resistente, quale la parte prossimale dei legamenti che risulta meno alterata dalla continua tensione del peso uterino.

“L’orientamento terapeutico si sta spostando da una chirurgia di ricostruzione a una chirurgia di sostituzione mediante l’utilizzo di protesi (reti) sintetiche e biologiche al fine di garantire risultati più soddisfacenti e duraturi”, spiega il dr. Giancarlo Paradisi, ricercatore dell’Istituto di Clinica ostetrica e ginecologica dell’Università Cattolica di Roma.

Recentemente per la sospensione della cupola e dell’ utero mediante l’utilizzo di materiale protesico è stata proposta una nuova tecnica di colposospensione per via transperineale. “Tale tecnica – continua Paradisi - prevede l’utilizzo di minime quantità di materiale protesico, due lunghe benderelle di polipropilene che vengono posizionate mediante due aghi con accesso esterno-interno per via transperineale e poi suturate sulle cupola o cervice”.

Questo intervento, di “lifting dell’utero” oltre a essere minimamente invasivo e utilizzare un minimo quantitativo di materiale protesico, fornisce un’alternativa agli interventi di sacropessia laparoscopica e laparotomica e sospensione agli uterosacrali per via laparoscopica laddove si voglia conservare l’utero. Incoraggianti sembrano i risultati preliminari, sia per quanto riguarda le complicazioni che le percentuali di successo e di soddisfazione delle pazienti; un follow-up più lungo permetterà di confermare questi dati.

“Il maggior responsabile tra le cause del prolasso - ricorda Paradisi - è il trauma che segue già al primo parto. Circa il 50% delle donne che partoriscono riportano un danno nei supporti pelvici. Ecco perché è molto importante che l’ostetrica insegni esercizi di riabilitazione perineali da praticare durante i mesi della gravidanza, quando l’utero gravido esercita una forte pressione sul pavimento pelvico. Questi esercizi di rafforzamento si dimostreranno utili anche per sopportare meglio lo sforzo espulsivo del parto naturale”.

Quindi molta attenzione deve essere posta dalla donna al momento della gravidanza, del parto e del post-partum. Dopo ogni parto la puerpera dovrebbe essere sensibilizzata a segnalare eventuali episodi di incontinenza urinaria e dovrebbe essere incoraggiata a effettuare una ginnastica perineale per tonificare il pavimento pelvico.

La ginnastica perineale consiste in una serie di esercizi di contrazione e di rilasciamento della muscolatura del pavimento pelvico per riportarla sotto il controllo della donna. “Nel grado iniziale (I-II°) e in particolare nelle donne in età fertile – conclude Paradisi - il trattamento di riabilitazione del pavimento pelvico ha un ruolo fondamentale nel prevenire peggioramenti, sia dell’alterazione anatomica che di quelli funzionali associati (incontinenza urinaria)”. Nell’ambulatorio di uroginecologia del Policlinico Gemelli la rieducazione del pavimento pelvico viene effettuata da oltre 15 anni.

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