In data 28-03-2007
Comunicato Stampa Argon
Edizione Marzo 2007
Stefano Greggi, Direttore UOC di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli Fondazione Pascale
Abbiamo cominciato nel 2001 a gettare le basi per la sperimentazione di Gardasil presso l’Istituto Nazionale Tumori di Napoli. Il lavoro preparatorio non è stato semplice né breve.
Per arruolare le volontarie di età fra i 18 e i 23 anni, abbiamo avuto riunioni con medici di famiglia, con ginecologi che operano nei consultori e con le Scuole infermieristiche. Alla fine, abbiamo ottenuto poco più di una quindicina di adesioni.
C’è subito da sottolineare che quando andavamo a parlare di papillomavirus e anche del tumore del collo dell’utero, le persone interpellate rivelavano una scarsa, se non addirittura nulla, conoscenza in proposito. Avevano sentito parlare di tumore del collo uterino ma non conoscevano l’agente/fattore responsabile della malattia.
Le giovani che abbiamo coinvolto, generalmente appartenenti ad un livello socio-culturale medio-basso, studentesse ma anche ragazze lavoratrici, hanno aderito al nostro invito di sottoporsi alla sperimentazione con Gardasil sostanzialmente per due ordini di motivi.
Spesso in seguito ad un vissuto familiare, avendo visto una madre o una vicina parente affetta da tumore, in particolare del collo dell’utero. E poi, comunque, per un rapporto fiduciario stabilitosi con il medico che ha proposto loro di prendere parte alla ricerca.
Tutte le ragazze hanno seguito le indicazioni della sperimentazione cercando di conciliare i propri impegni lavorativi con le esigenze del protocollo di studio. Ricordo una giovane che, costretta a frequenti viaggi, anche all’estero, riusciva comunque a conciliare gli impegni professionali con le scadenze della sperimentazione. Ciò a sottolineare una forte motivazione, pur in questo ristretto gruppo di volontarie, non proprio attesa in un Paese come l’Italia con scarsa attitudine alla partecipazione in sperimentazioni cliniche, specie se vaccinali.
A sperimentazione conclusa possiamo dire che Gardasil si è rivelato sicuro ed efficace. Al punto che, per ragioni etiche, stiamo per proporre la vaccinazione anche alle volontarie alle quali era stato somministrato il placebo, trattandosi di uno studio in doppio cieco.
E’ evidente che la diffusione dell’informazione sulla vaccinazione contro il tumore del collo dell’utero è ancora lungi dall’essere sufficiente e, per questo, è necessaria un’azione capillare ma soprattutto convincente. A questo proposito è fondamentale il ruolo dei medici- mi riferisco al pediatra, al medico di medicina generale e, soprattutto, al ginecologo interlocutore privilegiato della salute della donna nelle sue diverse età- ma anche dei media che spesso sono la prima ed unica fonte di informazione per le donne.
Mi vorrei soffermare sul ruolo del ginecologo che, come dicevamo, è il medico preposto alla salute della donna.
Come per ogni medico, il rapporto con il paziente implica la capacità di comunicare ed informare. Per questo, sarebbe necessario che tutti i ginecologi fossero già adeguatamente informati su Gardasil, e preparati a fornire opportuna consulenza sulla vaccinazione anti-HPV. E’ da aspettarsi, infatti, dopo l’annuncio attraverso i media della disponibilità commerciale del vaccino, una massiccia richiesta di chiarimenti da parte delle donne.
La vaccinazione profilattica rappresenta un mezzo ideale di prevenzione primaria, come già in uso in altre malattie non neoplastiche.
E’ giusto, quindi, che Gardasil venga reso disponibile all’utenza femminile ma che nel contempo venga inserito in studi di larga scala, in un nuovo scenario preventivo. L’introduzione in clinica di questo vaccino segna un grande passo avanti nella lotta contro i tumori e, per quanto riguarda il tumore del collo uterino, l’obiettivo di prevenire anziché curare la malattia ci sembra già molto più vicino.