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Il tonno rosso duramente colpito dal disastro nel Golfo del Messico

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La macchia di petrolio nel Golfo del Messico non avrebbe potuto verificarsi in un periodo peggiore per il tonno rosso, appena giunto nella zona per riprodursi . I satelliti stanno fornendo un valido aiuto nella valutazione dei danni arrecati ad uno dei più importanti habitat usati da questa specie per la deposizione delle uova. 

L’imponente tonno rosso dell’Atlantico, una delle più grandi specie marine che può raggiungere le dimensioni di un Maggiolino Volkswagen, arriva nel golfo ogni anno fra gennaio e giugno. Il periodo di picco per la deposizione delle uova è fra aprile e maggio, proprio quando dieci milioni di litri di petrolio al giorno si sono riversati nell’oceano, in seguito all’esplosione della piattaforma petrolifera «Deepwater Horizon», avvenuta il 20 aprile scorso.

Le femmine della specie depongono le uova nelle acque di superficie, dove vengono poi fecondate dai maschi. La presenza del petrolio sulla superficie rappresentava perciò un potenziale pericolo per le uova, le larve e persino gli esemplari adulti. Poiché la percentuale di deposizione delle uova in questa specie è diminuita dell’82% negli ultimi 30 anni, è fondamentale per la sua sopravvivenza che possa riprodursi senza impedimenti.

All’interno del golfo, sono due le zone più usate dai tonni per deporre le uova: una a nord ovest e un’altra a nord est, che più o meno coincide con la macchia nera.

Al fine di proteggere i luoghi della riproduzione, la «Ocean Foundation», un’organizzazione non-profit impegnata nella protezione degli ambienti oceanici e delle sue specie, aveva bisogno di sapere quali habitat nella zona nord est del golfo erano stati maggiormente interessati dalla fuoriuscita di petrolio.  
Per far questo era necessario conoscere sia l’estensione della macchia, sia i luoghi dove le condizioni per la deposizione delle uova fossero più favorevoli. Utilizzando i dati radar del satellite Envisat dell’ESA e di altri satelliti europei ed internazionali sono state prodotte delle mappe settimanali, che mostrano posizione, forma e dimensioni della macchia nera.

Per simulare gli habitat adatti alla deposizione delle uova e lo sviluppo delle larve, i ricercatori hanno applicato delle targhette elettroniche ad alcuni tonni rossi e hanno usato un modello oceanico basato sulle temperature rilevate nell’oceano, l’altezza della superficie, misurata dagli altimetri radar a bordo di Envisat e del satellite Jason della NASA e le informazioni sul colore delle acque, acquisite dai sensori MERIS, a bordo di Envisat, e MODIS, a bordo del satellite Aqua della NASA. Il colore può indicare, infatti, la presenza di plankton, di cui si nutre il tonno rosso.

Combinando le mappe della macchia di petrolio con l’indice così derivato per identificare i possibili habitat riproduttivi, é stato possibile vedere dove e quanto la macchia e gli habitat si fossero sovrapposti nel periodo fra il 20 aprile e il 29 agosto.

Subito dopo la schiusa delle uova, le larve cominciano a cercare cibo e restano nei pressi della superficie. Per questo motivo la presenza di petrolio qui ha un impatto quasi certamente mortale su questi piccoli organismi. Poiché l’area contaminata e l’habitat più favorevole coincidevano alla fine della stagione riproduttiva, i ricercatori hanno calcolato gli effetti letali del petrolio presente sulla superficie, scoprendo che la macchia aveva causato una diminuzione di più del 20% nei piccoli del tonno rosso.

Fortunatamente, però, osservando le immagini satellitari, la zona ad ovest non sembrava essere stata intaccata dall’inquinamento. «Questa analisi aiuterà noi e i nostri colleghi a comprendere meglio gli effetti di questo evento e a sviluppare delle raccomandazioni per una forte e decisa linea di condotta politica in merito», ha detto il dott. David Guggenheim della Ocean Foundation.

«Inoltre questo tipo di approccio rappresenta uno strumento di prossima generazione, che potrà essere impiegato da ricercatori e politici, qualora ci trovassimo ad affrontare in futuro un simile disastro ambientale». Prima che la falla venisse finalmente chiusa il 15 luglio, circa 750 milioni di litri di greggio si erano già riversati nel golfo. I satelliti di osservazione della Terra hanno svolto un ruolo fondamentale nella valutazione dell’entità del disastro. A pochi giorni dall’esplosione, i satelliti hanno cominciato a monitorare la situazione dallo spazio e a fornire dati quasi in tempo reale alle autorità statunitensi incaricate delle operazioni di pulizia. Ora i satelliti stanno aiutando gli scienziati a rispondere alle più pressanti domande riguardo le conseguenze ambientali della fuoriuscita di greggio. Le mappe basate sui dati forniti dall’ESA documentano anche gli effetti della macchia di petrolio sugli habitat naturali costieri e sui siti di nidificazione delle tartarughe marine. La protezione degli habitat naturali è oggetto di discussione alla 10a Conferenza delle Parti firmatarie della Convenzione dell’ONU sulla Biodiversità (COP10), che si tiene proprio questa settimana a Nagoya, in Giappone. L’ESA é presente con uno spazio espositivo e organizzerà un evento a tema durante la conferenza.

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