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L’interno di una “culla stellare” ripreso per la prima volta con l’interferometria infrarossa

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Da anni ormai l’astronomia sfrutta osservazioni simultanee di oggetti celesti con più strumenti per ottenere immagini sempre più dettagliate. Con la tecnica dell’interferometria, nelle onde radio, è possibile combinare - anche in tempo reale - i segnali raccolti da radiotelescopi distanti migliaia di chilometri per ricostruire poi immagini estremamente accurate. Provando ad applicare la tecnica con strumenti che operano nelle bande del vicino infrarosso o dell’ottico, le difficoltà crescono sensibilmente. Ora però, astronomi dell’INAF – Osservatorio astrofisico di Arcetri sono riusciti ad ottenere quella che è l’immagine più chiara mai presa della parte interna di un disco di gas e polvere che circonda una stella di recente formazione e più massiccia del Sole, denominata HR 5999, sfruttando proprio la tecnica dell’interferometria nel vicino infrarosso. Sono ormai comuni le immagini di dischi in silhouette attorno a stelle ‘giovani’, ma mai il bordo interno di un simile oggetto celeste era stato ripreso con questo livello di dettaglio.   “L’immagine ottenuta riproduce chiaramente un sistema stellare di recente formazione” commenta Fabrizio Massi, dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, che insieme ad Antonella Natta e Myriam Benisty, sempre della struttura INAF fiorentina, fa parte del team che ha condotto lo studio su HR5999, pubblicato oggi online sulla rivista Astronomy&Astrophysics. “Stimiamo per esso un’età di circa 500.000 anni, che potrebbe darci una rappresentazione di come poteva essere il nostro Sistema solare alle sue origini. Anche se siamo molto soddisfatti di questi risultati, stiamo lavorando al miglioramento del processo di ricostruzione delle immagini per ottenere, ad esempio, prove dirette della formazione di pianeti nei dischi circumstellari come quello in HR 5999”. Le stelle ‘giovani’ infatti sono circondate da un disco di gas e polvere, residuo del processo che ha portato alla loro formazione. Si pensa che i sistemi planetari abbiano origine proprio da questo disco. Una struttura che è molto difficile osservare direttamente nella sua parte interna. La sua distanza tipica dalla stella madre è all’incirca quella che separa la Terra dal Sole: 150 milioni di chilometri. Il disco si estende poi fino ad un centinaio di volte questa distanza. Ma a 700 anni luce da noi, dove si trova HR 5999, ottenerne un’immagine di questa struttura richiede la stessa accuratezza necessaria a scorgere una moneta da un euro posta a 1000 chilometri di distanza. Un normale telescopio, anche il più grande, non è in grado di osservare con un livello di dettaglio così spinto. Ma il livello di dettaglio può essere notevolmente aumentato combinando la luce che arriva dall’oggetto a più telescopi separati, usando cioè l’interferometria. Attraverso un complesso algoritmo matematico che utilizza i dati ottenuti da molte combinazioni di diverse posizioni di ripresa dei telescopi, è poi possibile ricostruire l’immagine dell’oggetto.   Sfruttando questa tecnica il team di scienziati, per ottenere questo risultato, ha utilizzato lo strumento AMBER, costruito da un consorzio italo-franco-tedesco in cui l'INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri ha avuto una parte rilevante, realizzando circa un quarto dello strumento. AMBER permette di combinare la luce proveniente da tre degli otto telescopi (quattro da 8 m e quattro da 1,8 m) del Very Large Telescope Interferometer dell’ ESO sulle Ande cilene. Con questo metodo di osservazioni si può arrivare ad ottenere immagini con risoluzioni angolari molto maggiori di quelle permesse da qualsiasi telescopio ottico disponibile, fino a un livello di dettaglio dell'ordine del millesimo di secondo d'arco. Per fare un paragone, circa quaranta volte più accurate di quelle prodotte dal telescopio spaziale Hubble, le stesse che potrebbe solo produrre un telescopio con uno specchio principale di ben 140 m di diametro.

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Protonterapia e progetto inplart
(Intensity Modulated Proton Linear Accelerator for RadioTherapy)

L’Istituto Regina Elena si è sempre impegnato con successo nella ricerca e sviluppo, anche dal punto di vista tecnologico, della radioterapia.
Il ruolo peculiare dell’IRE nel progetto denominato IMPLANT, basato sull’esperienza maturata dal 1932, è quello di studiare e realizzare le metodiche che consentono l’utilizzo migliore di fasci di protoni nella pratica clinica.
Infatti non è sufficiente costruire una macchina che produca fasci di protoni per effettuare radioterapia sui pazienti ma è necessario supportare la tecnologia con il sapere clinico.
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