Scossa di Lizzani, Maselli, Gregoretti, Russo
Scossa è una pellicola sugli aspetti del catastrofico terremoto di Messina e Reggio Calabria, avvenuto nel 1908 e raccontato a otto mani da Carlo Lizzani, Citto Maselli, Ugo Gregoretti e Nino Russo. Fuori Concorso, alla 68esima del Lido, il lungometraggio consta di quattro episodi, per indagare e presentare le immagini più care ad ognuno dei quattro maestri, relative a quella sciagura tellurica: la perdita degli affetti, i fatti di sangue e sciacallaggio, il bilancio socio-economico del dopo terremoto e i tardivi provvedimenti dello Stato, in soccorso ed assistenza ai terremotati. Il merito della pellicola, nel complesso, sta nel fatto che quel che resta di una calamità sismica non è diversa a Messina, come ad Haiti, a L’Aquila o a New Orleans, anche se i registi italiani hanno, comunque, privilegiato elementi tutti nostrani. In Speranza di Carlo Lizzani, una madre vedova, lasciata morire sotto le macerie, riesce a vincere la sua agonia, con la consolazione che i suoi figli sono salvi e con l’illusione di ricongiungersi in cielo al marito perduto da giovane, a cui porta la lieta notizia sui ragazzi.
Sciacalli di Maselli, invece, narra di un galeotto, interpretato da Massimo Ranieri, che la vita la ama profondamente come ama perdutamente sua moglie - personaggio con il volto di Amanda Sandrelli - e fa il pazzo pur di andare a vedere se è sopravvissuta. Eppure, la felicità di qualcuno è fonte d’invidia negli altri e i due sposi si ricongiungeranno solo nella morte, non causata dalla natura questa volta ma dalla mano dell’uomo…Quando si dice la scalogna!...
Molta ironia si ravvisa nell’episodio Sembra un secolo di Nino Russo, in cui il pescatore Turi è costretto a vivere centosessant’anni nell’attesa che lo Stato gli restituisca la casa distrutta dal sisma. Più didascalico, in ultimo, risulta Lungo le rive della morte di Gregoretti in cui il giornalista Giovanni Cena-Paolo Briguglia è l’autore di un reportage letterario e fotografico su quell’infausta notte di Natale di cent’anni fa. In tutti gli episodi, di interessante si nota l’uso del bianco e nero e dei fondali posticci: i due elementi stilistici, infatti, rendono bene l’idea di qualcosa che si libra o resta intrappolato tra la vita e la morte. L’episodio diretto dal Maestro Lizzani è il più riuscito, sotto quest’aspetto, specie per il gioco del cineasta tra il reale e l’immaginato, dove l’elemento trasognato si confonde con quello vissuto e viceversa, conquistando lo spettatore con un’emozione raffinata. Pur non lasciando la sala con l’animo particolarmente touché, specie in relazione gli altri episodi, lo spettatore avverte, in generale, nell’aria dell’intera pellicola, un vago sentore di tragedia greca ma, d’altronde, il Sud Italia è figlio diretto della stessa e non sarebbe deontologico ignorarla. Perciò, quel che sembra ridondante per certe realtà risulta sobrio per altre.
Margherita Lamesta