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Il cambiamento in Egitto: giovani in lotta per i diritti

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Le manifestazioni e le rivolte, che dal mese di gennaio hanno investito gran parte dei Paesi dell'Africa del Nord che si affacciano sul Mar Mediterraneo, hanno portato in Egitto alla caduta del Regime di Hosni Mubarak per quasi trent'anni saldamente al potere. La crisi del regime di Mubarak, come quella del regime di Gheddafi in Libia, ha rappresentato un evento inaspettato per i politologi e per la comunità internazionale. Al fine di creare un momento di riflessione e per raccogliere delle testimonianze dirette da parte di coloro che hanno vissuto in prima persona gli avvenimenti egiziani, il Dipartimento di studi Storici Geografici Antropologici della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma Tre ha organizzato un interessante seminario. L'evento, intitolato ”Il cambiamento in Egitto: giovani in lotta per i diritti”, si è tenuto lunedì 28 Marzo ed ha visto la partecipazione di Anna Bozzo, Docente di Storia e Istituzioni dell'Islam, Azzurra Meringolo, ricercatrice dell'Università di Roma Tre, e Georges Fahmy, membro dell'Istituto Universitario Europeo di Firenze.I due ultimi relatori, in quanto testimoni diretti delle manifestazioni di piazza Tahrir al Cairo, hanno fornito al dibattito validi strumenti di lettura a supporto della propria profonda conoscenza nell'ambito delle dinamiche politiche dei Paesi del Maghreb.I relatori della conferenza si sono avvalsi dell'ausilio di materiale audiovisivo per illustrare le vicende egiziane destinate ineluttabilmente a mutare il corso della storia di questo Paese. Una delle peculiarità delle proteste sfociate contro il regime di Mubarak è stata, infatti, la grande quantità di materiale audio e video che è stata immessa nella rete multimediale. Grazie ai social network, Facebook e Twitter su tutti, l'Egitto ed il mondo intero hanno potuto seguire in tempo reale e senza censura la repressione attuata dal regime egiziano nei confronti dei manifestanti. Una libertà di di informazione di cui Aljazera, principale emittente televisiva del mondo arabo, non ha potuto giovare, pagando anche in termini di reclusione fisica dei propri operatori il suo impegno a garantire una informazione veritiera. I filmati che i partecipanti al seminario hanno potuto visionare hanno mostrato un Egitto in cui, in occasione dei movimenti di protesta, è fiorito un sentimento nazionale forte come mai in passato. Un orgoglio manifestato dalla diffusa presenza nelle piazze del Cairo di alcuni simboli della cultura araba in generale ed egiziana in particolare.Altra peculiarità dei movimenti di protesta in Egitto, rispetto a quelli divampati in altri paesi dell'Africa del Nord, sono stati gli obiettivi che i manifestanti hanno posto alla base delle proprie rivendicazioni.I giovani che hanno gremito Piazza Tahrir dalla sera del 25 gennaio non lo hanno fatto per migliorare le proprie condizioni economiche o per manifestare il proprio appoggio a qualsivoglia partito d'opposizione. Al centro delle richieste dei manifestanti è stata posta la rivendicazione dei propri diritti civili e politici.Dunque una sollevazione non dettata da bisogni materiali, come è avvenuto in Tunisia. Una presa di coscienza decisa sul tema dei diritti e l'acquisizione di una forte consapevolezza sull'importanza che quel momento ha assunto nella storia del popolo egiziano per il conseguimento di uno Stato democratico.Così come le manifestazioni non sono state portate avanti da alcun gruppo politico, allo stesso modo non vi è stata la regia di gruppi religiosi. La protesta del popolo egiziano è stata di carattere laico ed apolitico. I movimenti della Piazza sono stati promossi  dalla sola società civile riunita in gruppi, quali ad esempio il “Movimento 6 aprile”, nato nel 2008 per sostenere lo sciopero degli operai dell'industria tessile, gruppo in cui il ruolo delle donne è stato di assoluto protagonismo.Queste associazioni hanno sfidato le “leggi di emergenza” in vigore dal 2003 che proibivano il diritto di manifestare liberamente.Il regime di Hosni Mubarak ha però sottovalutato tali movimenti così come ha erroneamente fatto quello di Gheddafi in Libia. Tale errore di valutazione è stato favorito dalla considerazione che le sporadiche manifestazioni di piazza, avvenute nel recente passato, erano originate da questioni di carattere internazionale come le guerre in Iraq o in Palestina.Il malcontento per le violazioni dei diritti perpetrate dal regime egiziano, è sembrato allo stesso Mubarak minore di quanto non lo fosse in realtà e facilmente controllabile attraverso la strategia della paura. Una strategia utilizzata sia nei confronti del popolo egiziano sia della Comunità Internazionale. Mubarak ha infatti più volte paventato, qualora fosse crollato il proprio regime, l'instaurazione di uno stato di anarchia, di disordine e la possibile instaurazione di una teocrazia. La richiesta di diritti e democrazia, rinvigorita dall'esempio delle vicende tunisine, si è dimostrata più forte della paura e della repressione che il regime, ormai al collasso, ha attuato.La vittoria delle istanze democratiche, come hanno voluto sottolineare i relatori a conclusione della conferenza, rappresenta di conseguenza la sconfitta di una erronea visione della realtà che sosterrebbe l'inconciliabilità delle società islamiche con i valori dello Stato democratico. Fabrizio Giangrande    

Flash News

Nonostante l’ultimo rapporto CITES (la Convenzione internazionale sulle specie minacciate di estinzione) sullo stato degli elefanti e del commercio di avorio (presentato la scorsa settimana) riveli per il quinto anno consecutivo una leggera flessione dell’incidenza del bracconaggio sugli elefanti in Africa la popolazione di questi pachidermi continua ad essere in declino. Secondo l’IUCN negli ultimi 10 anni la popolazione è diminuita di 111.000 esemplari in tutta l’Africa.
Le cause sono appunto il bracconaggio - che continua a far strage di elefanti - la distruzione dell’habitat e la rapida espansione degli insediamenti e delle attività umane nei territori frequentati dagli elefanti, sia nelle savane sia nelle foreste. Secondo la relazione della CITES sono anche in aumento gli elefanti uccisi illegalmente perché in conflitto con le attività umane, come, ad esempio, l’agricoltura: proprio questo fattore, se non adeguatamente gestito, rischia di diventare determinante per il futuro degli elefanti visto che il continente africano è infatti interessato da un’intesa e rapida crescita demografica (Oggi l’Africa ha raggiunto oltre 1 miliardo e 250 milioni di abitanti e le Nazioni Unite prevedono che nel 2050 nel Continente Nero vi saranno oltre 2,5 miliardi di persone).. Il rapporto della CITES evidenzia anche come rimanga elevatissimo il commercio illegale di avorio, principale causa di bracconaggio agli elefanti: per il sesto anno consecutivo infatti si registrano cifre record rispetto al numero dei sequestri e alla quantità del materiale sequestrato. Secondo la CITES il peso dell’avorio sequestrato nel 2016 è sette volte superiore a quello sequestrato nel 2007.

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