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Uno studio trova sistemi di protezione contro la superinfezione da malaria

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I parassiti responsabili di provocare la malaria conclamata inizialmente si spostano verso il fegato, si moltiplicano e quindi si dileguano e invadono i globuli rossi del sangue. I ricercatori sono d'accordo sul fatto che i parassiti si nutrono di ferro per crescere. Una nuova ricerca però afferma che i pazienti cui è stata diagnosticata la malaria conclamata potrebbero essere protetti da nuove infezioni in seguito all'attivazione di un ormone che assicura che le cellule del fegato non possano nutrirsi di ferro. Lo studio, presentato sulla rivista Nature Medicine, è stato in parte sostenuto attraverso COST (European Cooperation in Science and Technology), un programma finanziato dal Programma quadro dell'UE Ricerca e sviluppo tecnologico (RTD). Questa scoperta potrebbe portare a migliori metodi di gestione e prevenzione della malaria.

I ricercatori, coordinati dall'Instituto de Medicina Molecular (IMM) presso l'Università di Lisbona in Portogallo, si sono occupati in particolare dello sviluppo dei parassiti della malaria sia nel fegato che nei globuli rossi e dei casi di "superinfezione", nei quali un individuo cui è stata diagnosticata la malaria conclamata viene punto da una seconda zanzara infetta.

I risultati dimostrano che la seconda puntura di zanzara in un organismo che già ospita parassiti nel sangue non provocherà una seconda infezione conclamata. La prima infezione blocca la superinfezione nel fegato.

Sono buone notizie per le persone che vivono in aree ad alto rischio. I dati mostrano per la prima volta che il ferro ha un ruolo fondamentale nello sviluppo di infezioni multiple di malaria, il che ha serie implicazioni per l'integrazione di ferro usata per combattere l'anemia nelle regioni endemiche della malaria, affermano i ricercatori.

Grazie a questo sistema protettivo, i parassiti del sangue non crescono perché non hanno ferro di cui nutrirsi.

"Sono molto contenta che siamo riusciti a trovare un'interazione tanto interessante tra diverse fasi del parassita della malaria in un singolo ospite e che ciò potrebbe contribuire al futuro controllo della malaria," dice la dott.ssa Silvia Portugal dell'IMM, autrice principale dello studio.

Da parte sua, la dott.ssa Maria Mota, sempre dell'IMM e leader dello studio, dice: "Le nostre scoperte aiutano a spiegare le differenze del rischio di infezione e la complessità delle infezioni in soggetti giovani osservate in regioni endemiche della malaria che finora erano rimaste senza spiegazione certa. Esse inoltre mettono in dubbio l'idea secondo la quale l'infezione in diversi tipi di cellula è indipendente, il che potrebbe avere un impatto sulla ricerca futura nel campo delle malattie infettive in generale.

Commentando i risultati, il dott. Hal Drakesmith, uno dei coordinatori dello studio presso il l'Istituto Weatherall di Medicina molecolare e l'Università di Oxford nel Regno Unito, dice: "Adesso che capiamo come i parassiti della malaria proteggono il loro territorio nel corpo dai parassiti concorrenti, potremmo essere in grado di rafforzare questo meccanismo di difesa naturale per combattere il rischio di infezioni da malaria. Allo stesso tempo potremmo dover rivedere l'opportunità di programmi di integrazione di ferro in regioni endemiche della malaria, visto che il possibile maggior rischio di infezione deve essere soppesato rispetto ai benefici, ma su questo tema sono necessari maggiori dati.

Oltre 300 milioni di persone vengono colpite dalla malaria ogni anno e 800.000 perdono la battaglia contro questa malattia letale.
 

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