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Malaria: la tilapia del Nilo nella lotta contro “il male dei poveri”

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Malaria: la tilapia del Nilo nella lotta contro “il male dei poveri”

Oreochromis niloticus niloticus1 (Linnaeus, 1758), (fig. 1) più comunemente noto come ‘tilapia del Nilo’: da questo pesce predatore, molto diffuso nei corsi d’acqua dolce del Kenya e alimento base della cucina locale, sembrerebbe arrivare una nuova, concreta speranza di arginare, o almeno ridurre sensibilmente, la diffusione della malaria nella parte occidentale del Paese.

Oreochromis niloticus niloticus (Linnaeus, 1758) http://nas.er.usgs.gov/queries/FactSheet.asp?speciesID=468
Oreochromis niloticus niloticus (Linnaeus, 1758) http://nas.er.usgs.gov/queries/FactSheet.asp?speciesID=468
 

E’ quanto emerge da una ricerca recentemente condotta da Annabel Howard e Francois Omlin dell’ International Centre of Insect Physiology and Ecology di Nairobi, Kenya2. L’équipe di ricercatori ha selezionato tre bacini idrici caratterizzati da una elevata concentrazione di larve di zanzara, principale vettore della malaria. Ha quindi introdotto esemplari di tilapia nilotica in due dei bacini, usando il terzo come controllo. I risultati sembrano incoraggianti: dopo quasi cinque mesi di sperimentazione, nei due bacini ripopolati con tilapia il numero di larve della zanzara Anopheles gambiae (fig. 2) si è ridotto di oltre l’80%, mentre il ceppo di Anopheles funestus (fig. 3) si è mantenuto costante. Nel bacino di controllo, invece, la popolazione delle larve è più che triplicata. L’Oreochromis niloticus niloticus, la cui predilezione per le larve di Anopheles è nota fin dall’inizio del secolo scorso, potrebbe rappresentare un’arma biologica efficace per il controllo delle zanzare, a patto però – avverte Peter Atkinsons dell’Università della California – di non considerarlo un rimedio contro la malaria. Oltre alla necessità di valutare con attenzione l’impatto ecologico di un  ripopolamento ittico su larga scala, occorre tenere presente che il terreno di coltura della malaria, in molte zone dell’Africa, non è costituito dai bacini acquiferi, bensì dalle pozzanghere fangose, a volte grandi quanto l’impronta di un piede, in cui le zanzare trovano un humus favorevole alla riproduzione. (fig. 4)

Anopheles gambiae Photos courtesy of J. Gathany, CDC http://www.nd.edu/~biology/besansky.shtml
Fig. 2 - Anopheles gambiae Photos courtesy of J. Gathany, CDC http://www.nd.edu/~biology/besansky.shtml

Fig. 4 - Mappa della distribuzione mondiale della Malaria http://www.lbl.gov/Science-Articles/Archive/sabl/2006/May/02-antimalarial.html
Fig. 4 - Mappa della distribuzione mondiale della Malaria http://www.lbl.gov/Science-Articles/Archive/sabl/2006/May/02-antimalarial.html
 

Fig. 5 - Ciclo del Plasmodium http://www.cofc.edu/~huberb/ANTH%20340%20Huber's%20Medical%20Anthropology.html
Fig. 5 - Ciclo del Plasmodium http://www.cofc.edu/~huberb/ANTH%20340%20Huber's%20Medical%20Anthropology.html
 

Oggi la malaria è endemica in 106 nazioni e uccide ogni anno nel mondo oltre due milioni di persone, il 90% delle quali vive nelle regioni dell’Africa subsahariana . Ad aggravare la situazione concorrono sia fattori ambientali come il riscaldamento globale del pianeta, sia fattori umani come l’errata gestione del territorio che, contribuendo alla deforestazione e alla progressiva paludizzazione di intere aree del pianeta, rischiano di far proliferare la malattia in regioni in cui sembrava definitivamente debellata3.
Per noi abitanti delle latitudini temperate, la malaria, o ‘mala aria’, come vuole la sua origine etimologica, che collega il morbo agli insalubri miasmi di aree palustri e mefitiche, evoca scenari di miseria e malattia ormai persi nella memoria storica delle nostre “magnifiche sorti e progressive”. Ma a ben vedere, questo male, che più di ogni altro – ad eccezione forse dell’AIDS -  oggi rappresenta il crisma del sud del mondo e lo scomodo spettro che funesta le notti stellate delle nostre mete turistiche predilette, è un male cha vanta origini antichissime, direi preistoriche, se è vera l’ipotesi secondo cui gli stessi dinosauri ne sarebbero stati vittime. Il primo a darne una descrizione clinica puntuale fu Ippocrate nelle sue ‘Epidemie’4, ma ancora alla fine dell’Ottocento si possono leggere descrizioni come questa, appena stemperata dal lirismo della prosa verghiana:

“È che la malaria v'entra nelle ossa col pane che mangiate, e se aprite bocca per parlare, mentre camminate lungo le strade soffocanti di polvere e di sole, e vi sentite mancar le ginocchia, o vi accasciate sul basto della mula che va all'ambio, colla testa bassa (…) il sudore della febbre lascia qualcheduno stecchito sul pagliericcio di granoturco, e non c'è più bisogno di solfato né di decotto d'eucalipto, lo si carica sulla carretta del fieno, o attraverso il basto dell'asino, o su di una scala, come si può, con un sacco sulla faccia, e si va a deporlo alla chiesuola solitaria, sotto i fichidindia spinosi di cui nessuno perciò mangia i frutti.5

Fig. 3 - Anopheles funestus Photos courtesy of J. Gathany, CDC http://www.nd.edu/~biology/besansky.shtml
Fig. 3 - Anopheles funestus Photos courtesy of J. Gathany, CDC http://www.nd.edu/~biology/besansky.shtml
 


La novella di Verga è del 1883. Nel 1887 la malaria in Italia provocò la morte di 21000 persone; due milioni di italiani ne erano colpiti ogni anno e cinque milioni di ettari di terreno non potevano essere coltivati. Nell’Europa meridionale e nella parte sud-orientale degli Stati Uniti la malattia fu endemica fino alla metà del secolo scorso, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1955, decise di avviare il Global Malaria Eradication Programme, un ambizioso programma di sradicamento della malattia su scala mondiale. Dopo 14 anni, i finanziamenti languivano e il programma venne abbandonato, ma i suoi effetti, non sempre innocui, furono duraturi. Se è vero, infatti, che la malaria scomparve quasi del tutto nei Paesi sviluppati come l’Europa e il Nord America, grazie soprattutto a imponenti opere di bonifica, è altrettanto vero che l’uso massiccio e spesso indiscriminato di DDT6 anche in terreni agricoli, provocò la contaminazione di falde acquifere e corsi d’acqua, con danni irreversibili all’ambiente e alla salute dell’uomo (disordini neurologici, alterazioni del sistema endocrino, insorgenza di tumori).
Fino ad oggi gli sforzi per sconfiggere definitivamente la malaria sono stati tanti, ma la speranza di trovare un vaccino in grado di garantire una protezione totale appare ancora remota. La malaria, infatti, viene trasmessa all’uomo dalla femmina di zanzara Anopheles, che attraverso la saliva inietta nella cute minuscoli parassiti detti “plasmodi”. (fig. 5) Le specie di plasmodi infettivi sono quattro, ma la più insidiosa, e spesso letale, per l’uomo è Plasmodium falciparum che con i suoi 5000 geni ha un genoma talmente complesso da rendere difficile la creazione di un vaccino realmente efficace e sicuro.

Fig.

1 Oreochromis niloticus niloticus (Linnaeus, 1758) http://nas.er.usgs.gov/queries/FactSheet.asp?speciesID=468
2 Anopheles gambiae Photos courtesy of J. Gathany, CDC http://www.nd.edu/~biology/besansky.shtml
3 Anopheles funestus Photos courtesy of J. Gathany, CDC http://www.nd.edu/~biology/besansky.shtml
4 Mappa della distribuzione mondiale della Malaria http://www.lbl.gov/Science-Articles/Archive/sabl/2006/May/02-antimalarial.html
5 Ciclo del Plasmodium http://www.cofc.edu/~huberb/ANTH%20340%20Huber's%20Medical%20Anthropology.html

Note

1 - Oreochromis niloticus niloticus (Linnaeus 1758).
2 - Annabel Howard, Guofa Zhou and Francois Omlin, “Malaria mosquito control using edible fish in western Kenya: preliminary findings of a controlled study”, in  BMC Public Health http://www.biomedcentral.com/bmcpublichealth/
3 - Un esempio per tutti, la foresta amazzonica, dove i cambiamenti climatici e i danni ambientali causati dall’uomo hanno provocato una crescente siccità, che ha trasformato imponenti corsi fluviali in pozzanghere d’acqua fangosa, ricettacolo privilegiato delle zanzare e della malaria. La deforestazione, che negli anni ’70 interessava appena l’1% del territorio boschivo, adesso copre il 17% delle risorse forestali, un’area molto più vasta dell’intera Francia.
4 - Ippocrate, Epidemie. Libro VI, Manetti, Daniela e Roselli, Amneris (a cura di) Firenze 1982
5 - Giovanni Verga, “La malaria”, in Tutte le novelle, a cura di Carla Riccardi, I Meridiani, Arnoldo Mondatori editore, 1979.
6 - Il DDT, o di cloro-difenil-tricloroetano, fu brevettato dal chimico svizzero Paul Hermann Müller nel 1940. E’ un insetticida potentissimo, capace di interrompere il ciclo della trasmissione malarica uccidendo le zanzare per mesi. Dopo anni di accesi dibattiti fra sostenitori e oppositori, si giunse, nel 2001, alla Convenzione di Stoccolma, per bandire il DDT e gli altri 11 POP (inquinanti organici persistenti). Il trattato prevede che l’utilizzo di DDT sia limitato esclusivamente al controllo dei vettori di malattie endemiche come la malaria, nel pieno rispetto della convenzione e sotto la stretta sorveglianza dell’OMS Per ulteriori informazioni si veda anche l’interessante articolo di Daniele Fabbri "DDT: from miracle chemical to banned pollutant", in www.swissinfo.org, 6 maggio 2003)

Veronica Rocco

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