"Cambiamento climatico: rischi, sfide e decisioni globali". A Copenhagen migliaia di scienziati da tutto il mondo per tracciare le linee-guida sul futuro del Pianeta
Nel 2012, infatti, scadrà il Protocollo di Kyoto, l’accordo globale per ridurre del 5% le emissioni di alcuni gas a effetto serra. Per siglare un nuovo protocollo sul clima, la comunità politica internazionale si è data appuntamento a Copenhagen il prossimo dicembre. Gli scienziati, però, lanciano l’allarme: i negoziati che si svolgeranno a dicembre non sono basati su realtà scientifiche oggettive. L’ultimo studio condotto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), è vecchio di due anni e nel frattempo le ricerche hanno rivelato dati molto più inquietanti su cui vale la pena riflettere prima che sia troppo tardi.
Il summit, che si è svolto dal 10 al 12 marzo, è organizzato dalla Alliance of Research Universities (IARU), che riunisce 10 delle più importanti università del mondo. I risultati del congresso saranno pubblicati a giugno e consegnati dal governo danese ai rappresentanti dell’Onu il prossimo dicembre.
I temi-chiave emersi dal dibattito di questi giorni sono sei:
1. Evoluzione del clima. I dati delle ultime ricerche confermano lo scenario non proprio rassicurante previsto dall’IPCC. Il clima, infatti, sta superando i normali modelli di variabilità. I campanelli d’allarme sono molti, tra cui l’ aumento delle temperature globali, l’innalzamento del livello del mare e degli oceani, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani.
2. Effetti sociali dei cambiamenti climatici. I dati dimostrano che la nostra società è sempre più vulnerabile a cambiamenti climatici anche modesti.
3. Strategie a lungo termine. E’ necessario un impegno globale e coordinato per affrontare i cambiamenti del clima. Qualsiasi ritardo o indecisione da parte dei governi rischia di aumentare i costi sociali ed economici di lungo periodo.
4. I cambiamenti climatici avranno effetti sbilanciati sul pianeta, aumentando le differenze tra paesi ricchi e paesi poveri, fra l’attuale generazione e quelle future, fra gli uomini e gli ecosistemi naturali. E’ necessario, quindi, progettare delle strategie di adattamento mirate a proteggere gli individui più deboli e più vulnerabili al cambiamento.
5. Non ci sono alibi per non agire. L’uomo ha già a disposizione molti strumenti. Il cambiamento più importante da perseguire è quello di ridurre le emissioni di gas serra. I benefici sono molti: crescita dell’occupazione nei settori “verdi”, riduzione dei costi economici e sanitari legati al cambiamento climatico, rivitalizzazione degli ecosistemi.
6. Per poter affrontare questa sfida bisogna combattere l’inerzia dei sistemi sociali ed economici sensibilizzando l’opinione pubblica sui temi dell’ambiente, valorizzando l’innovazione nella leadership dei governi, nel settore privato e nella società civile, spingendo le persone ad abbracciare stili di vita e pratiche più “sostenibili”.
Il livello del mare, secondo gli scienziati, potrebbe innalzarsi di un metro nei prossimi 100 anni. Nell’ipotesi meno pessimistica, l’aumento del livello non sarà comunque inferiore a 50 cm, con il risultato di mettere a repentaglio la sopravvivenza di molte aree costiere. Si stima, infatti, che circa il 10% della popolazione mondiale (pari a 600 milioni di persone) viva in zone a rischio di inondazioni. Secondo John Church [1], basta anche un aumento di mezzo metro per “sommergere” intere città della costa.
“Le più recenti osservazioni satellitari – afferma Church – mostrano che il livello del mare continua ad aumentare ad un ritmo di 3 mm all’anno o anche più dal 1993, un ritmo decisamente superiore alla media del secolo scorso”. Il fenomeno è aggravato dallo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia e dell’Antartide. Allo stato attuale, però, non si possono fare previsioni certe sull’aumento dei livelli del mare perché - come spiega Eric Rignot [3] - molto dipende da come i ghiacciai dell’Antartide reagiscono all’aumento delle temperature e da come interagiscono con gli oceani.
Dati preoccupanti emergono anche dallo studio delle foreste. In Europa, ad esempio, la vegetazione è destinata a subire profondi cambiamenti man mano che aumentano le temperature: specie endemiche dei Paesi freddi come le conifere cederanno il posto a piante più adatte alle alte temperature, come la quercia. Oggi le foreste dell’Europa (inclusa la Russia) occupano una superficie di 1.6 milioni di Km quadrati. Se immaginiamo una perdita di 32 specie arboree maggiori e un aumento delle temperature di quasi 6° entro il 2100, l’Europa si ritroverà coperta da una vegetazione mediterranea con prevalenza di querce che ridurrà il potenziale economico dell’intero Continente. Secondo Marc Hanewinkel [4], la perdita delle foreste ammonterebbe a 200 miliardi di euro. Il Giappone, dal canto suo, dovrà pagare 1 miliardo di euro per proteggere i propri porti contro i danni causati da venti e tempeste, fenomeni che negli ultimi anni si sono verificati con una frequenza e un’intensità sempre maggiori. Se non lo facesse, dicono gli scienziati, i costi sarebbero ben più alti, pari a 1.5%-3.4% del Prodotto Interno Lordo del paese entro il 2085 (ricordiamo che il PIL del Giappone nel 2007 era di 3.41 trilioni di euro).
Un altro tema scottante del dibattito è quello delle energie rinnovabili. Secondo i risultati emersi dal congresso di Copenhagen, un adeguato supporto finanziario e politico potrebbe consentire alle energie rinnovabili come l’eolico e il fotovoltaico di coprire il 40% della domanda di elettricità entro il 2050. “Con finanziamenti adeguati e con il sostegno del mondo politico – afferma Peter Lund [5] – possiamo smentire la convinzione, ormai antiquata, che il potenziale delle energie rinnovabili debba essere limitato ad una frazione irrilevante della domanda energetica globale”. Quando si parla di energie rinnovabili non si può non parlare anche di biocarburanti. Gli studi finora effettuati evidenziano che i biocombustibili di seconda generazione, cioè quelli prodotti dalla paglia e dagli scarti agricoli, hanno contribuito ad abbassare le emissioni di gas serra in misura nettamente superiore ai biocarburanti di prima generazione, ossia quelli ricavati da mais, colza, etc.
Opportunità di sviluppo, ovvero il “piano Marshall” del clima
Il difetto del nostro attuale modello di sviluppo - secondo Terry Barker [6] - è quello di pensare che l’inasprimento delle misure volte a ridurre le emissioni di gas serra faccia lievitare i costi. Al contrario, spiega Barker, i fatti dimostrano che imporre regole più severe per combattere l’inquinamento non può che aumentare i benefici per tutti grazie all’innovazione e alla distribuzione di tecnologie che disperdono meno carbonio nell’atmosfera. Tassare le emissioni di CO2 significa reinvestire i ricavi in una tecnologia “pulita” e abbassare altre tasse indirette, assicurando così la neutralità fiscale di queste misure. L’attuale crisi dei mercati finanziari globali non deve essere un ostacolo, ma al contrario uno stimolo per fronteggiare il cambiamento climatico. Se tutti gli Stati membri del G20 adottassero un ‘Green New Deal’, ossia un New Deal Verde”, simile a quello proposto dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, l’economia mondiale ne uscirebbe rafforzata. Quali sono, invece, i rischi connessi all’inazione? Uno studio presentato nel corso della conferenza mostra che la produttività degli operai di New Delhi che lavorano all’aperto è scesa già del 10% dal 1980 ad oggi a causa dei cambiamenti climatici. Se le temperature aumentano di altri 2°C la produttività potrebbe diminuire del 20%. “L’aumento delle temperature – afferma Tord Kjellström [7] – influisce gravemente sulla vita quotidiana di milioni di persone che vivono nei Paesi in via di sviluppo, danneggiandone sia il lavoro che la salute”.
Note:
[1] Australian National University, ETH Zürich, National University of Singapore, Università di Pechino, Università di California, Berkeley, Università di Cambridge, Università di Copenhagen, Università di Oxford, Università di Tokyo, Università di Yale.
[2] Centro di Ricerca Meteorologia e Clima, Australia.
[3] Professore di scienze geologiche, Università della California Irvine.
[4] Professore presso il Forest Research Institute di Baden -Wuerttemberg, Università di Friburgo, Germania.
[5] University of Technology's Advanced Energy Systems, Helsinki.
[6] Direttore del Centro di Ricerca per la Mitigazione dei Cambiamenti Climatici, Cambridge.
[7] Visiting Fellow presso il Centre for Epidemiology and Population Health (Australian National University).
Link consigliati:
EURACTIV
“Scientists to adopt tough stance for Copenhagen talks” (09/03/2009)
http://www.euractiv.com/en/climate-change/scientists-adopt-tough-stance-copenhagen-talks/article-180039?Ref=RSS
“Climate Change. Global Risks, Challenges and Decisions”, University of Copenhagen
http://climatecongress.ku.dk/
Veronica Rocco