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I cambiamenti climatici e gli strumenti della scienza

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In data 17-08-2007
Veronica Rocco
 
Anno 4
Edizione Agosto 2007

I cambiamenti climatici e gli strumenti della scienza. La paleoclimatologia ci aiuta a comprendere gli attuali cambiamenti climatici e ci indica come agire per evitarne di più rilevanti

Lo scorso Aprile a Bruxelles si sono riuniti esperti e scienziati del Giec-Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change) 1, per discutere sul futuro del nostro clima.
Dopo sei anni di studi condotti in 30 nazioni da oltre 2500 scienziati, i risultati rivelano che la temperatura terrestre è destinata ad aumentare di 6° C entro i prossimi cento anni. A parte l’allarmante prospettiva – un secolo è ormai l’arco di una vita o poco più -  siamo sicuri di sapere che cosa accade realmente nel nostro pianeta e con quali strumenti operano gli scienziati per scoprirlo?
In un interessante  articolo apparso recentemente sul mensile DARWIN e intitolato “Quando la Terra si raffreddò2, Alessandro Zanazzi3, facendo un balzo indietro di 34 milioni di anni, ci aiuta ad inquadrare il dibattito attuale sul clima in una prospettiva storica, grazie agli strumenti della paleoclimatologia4.

Non tutti sono al corrente – osserva Zanazzi nel suo articolo – che il clima attuale della Terra è freddo (…) se visto nell’ottica dei 4,5 miliardi di anni di storia del nostro pianeta”5.

Gli studi paleoclimatici, infatti, hanno dimostrato che tra 70 e 40 milioni di anni fa il clima era decisamente tropicale, con temperature medie che superavano di 15° C quelle attuali. Improvvisamente, circa 34 milioni di anni fa, si verificò un processo di raffreddamento molto rapido, associato alla glaciazione dell’Artico.

Il passaggio dal caldo mondo greenhouse al più freddo mondo icehouse” – secondo la definizione di Zanazzi – si consuma nell’arco di “soli” 300.000 anni e segna la linea di demarcazione temporale tra Eocene e Oligocene. Si tratta del più significativo cambiamento climatico degli ultimi 65 milioni di anni.

Per spiegare il raffreddamento terrestre avvenuto tra Eocene e Oligocene, Zanazzi prende in considerazione due ipotesi. Secondo la prima ipotesi, la separazione dell’Antartide dall’Australia e dall’America  del Sud avrebbe favorito la formazione della corrente circumpolare antartica, la più potente delle correnti oceaniche, che, impedendo alle calde correnti tropicali di raggiungere le alte latitudini,  sarebbe all’origine della formazione della calotta glaciale.

Ma vi è una seconda ipotesi, che offre interessanti spunti di riflessione per comprendere i cambiamenti climatici attuali e prevederne gli sviluppi futuri. La transizione climatica sarebbe stata causata da una notevole riduzione dell’anidride carbonica nell’atmosfera. “Questo consistente calo della CO2 – scrive Zanazzi -   ridusse l’intrappolamento della radiazione infrarossa riflessa dalla Terra portando quindi ad un raffreddamento globale del pianeta6.

Recentemente  sono state messe a punto tecniche di analisi geodinamiche che hanno permesso di stabilire in modo più puntuale i mutamenti climatici del Cenozoico. Questo tipo di studi si basa sull’analisi degli isotopi stabili dell’ossigeno nei gusci degli organismi marini come i foraminiferi. Il guscio è costituito principalmente da carbonato di calcio, che i foraminiferi ricavano dall’ossigeno contenuto nell’acqua. L’ossigeno fissato sul guscio conserva lo stesso rapporto isotopico dell’acqua circostante. Analizzando i sedimenti raccolti sul fondo dell’oceano è possibile ottenere informazioni accurate e abbastanza attendibili sulla temperatura dell’acqua nelle varie ere geologiche.

Le misurazioni dimostrano che agli inizi del periodo Cenozoico la Terra subì una diminuzione della temperatura degli oceani di 3-4° C. Ma se questi furono i cambiamenti climatici avvenuti nelle masse oceaniche, quali effetti si ebbero su quelle continentali? La domanda – secondo Zanazzi – è di estrema importanza poiché dalla risposta dipende la possibilità di prevedere, nel contesto attuale, il destino di metropoli come New York o Chicago. Ricostruire le transizioni climatiche dei continenti, però,  non è un’impresa facile a causa dei processi di erosione che ostacolano la tracciabilità di determinati fenomeni. A questo bisogna aggiungere le difficoltà di reperire indici paleoclimatici attendibili risalenti a periodi  precedenti il milione di anni fa.

Un importante studio pubblicato recentemente su Nature, getta nuova luce sulle connessioni tra oceani e continenti durante la transizione climatica avvenuta agli inizi del Cenozoico. Lo studio – condotto da una équipe di ricercatori coordinata da Zanazzi - usa il metodo dell’analisi isotopica, ma anziché applicarla ai sedimenti oceanici, la utilizza per analizzare denti e ossa di un particolare gruppo di mammiferi fossili, il cosiddetto White River Group, uno dei più famosi giacimenti di mammiferi fossili del mondo.

Scopo della ricerca è di misurare l’esatta temperatura media a partire dalla composizione isotopica  dell’ossigeno fissato sui denti e sulle ossa. Durante i processi di fossilizzazione, tuttavia, denti e ossa vanno incontro a modificazioni diverse: lo smalto dei denti, privo di materia organica, conserva la composizione isotopica biologica per diversi milioni di anni. La composizione delle ossa, più porose, viene invece alterata sia dall’azione dell’acqua che dalla temperatura del suolo.

L’analisi combinata dei denti e delle ossa dei mammiferi rinvenuti nelle grandi pianure americane ha permesso di individuare una riduzione della temperatura media annuale tra Eocene e Oligocene di 8°C. Un mutamento ben quattro volte superiore a quello registrato negli oceani alle stesse latitudini. Il dato più sorprendente – ma anche quello più interessante ai fini di un’analisi del contesto climatico attuale – è che il mutamento climatico nel continente americano sembrerebbe essersi verificato con 400.000 anni di ritardo rispetto al raffreddamento degli oceani.

Questi risultati – conclude Zanazzi – mettono in luce alcuni aspetti cruciali dell’evoluzione climatica del nostro Pianeta: in primo luogo, l’evidente disparità tra oceani e continenti nella risposta ai cambiamenti climatici globali. Le masse continentali, infatti, da un lato subiscono variazioni della temperatura nettamente superiori agli oceani, dall’altro registrano queste modificazioni con notevole ritardo rispetto alle masse oceaniche. Inoltre, gli studi confermano il ruolo determinante dell’anidride carbonica nei cambiamenti climatici: la sua diminuzione nell’atmosfera è stata la principale causa del raffreddamento terrestre avvenuto 34 milioni di anni fa.

Questa osservazione –conclude Zanazzi – dovrebbe costituire un monito importante in favore di interventi che facciano fronte ai cambiamenti climatici7.

 

 

 

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1 Il Gruppo Intergovernativo di esperti sull’evoluzione del clima è stato istituito dall’Onu .I risultati definitivi verranno portati all’attenzione del prossimo G8.

2 DARWIN, Luglio/Agosto 2007, pagg. 46-51

3  Department of Geological Sciences, University of South Carolina, Columbia

4 La paleoclimatologia è una branca delle scienze della Terra che ha acquistato sempre maggiore interesse negli ultimi anni poiché permette di ricostruire i cambiamenti climatici del passato attraverso la registrazione di eventi naturali che hanno modificato l’ambiente e le cui tracce sono rinvenibili nei sedimenti, nei coralli, nei fossili, nei ghiacciai. La P. offre informazioni preziose per elaborare piani adeguati ed affrontare i futuri cambiamenti climatici.

5 DARWIN, Luglio/Agosto 2007, p. 46

6 DARWIN, Luglio/Agosto 2007, p. 47

7 DARWIN, Luglio/Agosto 2007, p. 51

Veronica Rocco

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