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L'impronta ecologica delle città africane

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Le città africane crescono ad un ritmo incessante, con effetti sulle aree rurali e sull'ecosistema dell'intero Continente Nero. Eppure, gli scienziati sembrano sottovalutare uno dei più importanti cambiamenti ecologici della storia dell'Africa.

Nell'ultimo numero dell'African Journal of Ecology, Joy Clancy [1]   scrive che "cento anni fà il 95% della popolazione africana viveva nelle campagne, oggi il 38% vive in città e si stima che circa metà della popolazione sarà inurbata entro il 2010".

Man mano che i centri urbani crescono, aumenta la richiesta di risorse naturali per soddisfare il fabbisogno energetico delle città: le foreste vengono disboscate e trasformate in terreni agricoli per produrre materie prime destinate alla popolazione delle aree metropolitane. Se a questo si aggiungono la domanda idrica e l'impatto dei rifiuti urbani sugli ecosistemi acquatici, sottolinea Joy Clancy, l'impronta ecologica delle città africane si rivela molto più ampia di quanto possa sembrare.

Questo tema è quasi sempre ignorato dagli ecologisti perché il continente Nero finora è stato studiato soprattutto da un punto di vista naturalistico. Oggi, però, la crescita delle città africane mette a repentaglio l'esistenza stessa di un' Africa "vergine e selvaggia", che rischia di sopravvivere solo nell'orizzonte ristretto di una cartolina illustrata.
  
Note:
[1] Centro di ricerca per le tecnologie sostenibili e la politica ambientale, Università di Twente, Olanda

Link consigliati:

Joy S. Clancy, "Urban ecological footprints in Africa"
(p 463-470), African Journal of Ecology
Published Online: Nov 28 2008 3:30AM
DOI: 10.1111/j.1365-2028.2008.01041.x

E' possibile leggere l'abstract al seguente link:
http://www3.interscience.wiley.com/journal/121541110/abstract

Flash News

ll Ministero della salute, continua a monitorare con attenzione le informazioni relative alla circolazione in Europa di lotti di uova e derivati contaminati da fipronil, un antiparassitario addizionato a un detergente utilizzato nelle pulizie degli allevamenti di pollame in alcuni Paesi europei. Tale trattamento non autorizzato ha comportato una contaminazione delle uova prodotte dalle galline presenti in stabilimenti non italiani. Allo stato attuale non risulta, peraltro, che si siano manifestati in alcun Paese dell’Unione casi di intossicazione umana legata all’utilizzo delle uova contaminate; tale evenienza è peraltro poco probabile, in considerazione del livello di contaminazione rilevato e del normale consumo medio di uova nella popolazione europea.

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