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Musei d'Italia: i visitatori aumentano ma solo il 10% ricorda quello che ha visto.

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Si intitola "Musei virtuali" [1] il libro presentato a Roma il 5 giugno scorso presso la Sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini.
L'autore, Francesco Antinucci [2], ha fatto un'indagine sul rapporto tra  pubblico e istituzioni museali nel nostro Paese. Complessivamente, tra il 1996 e il 2005, il numero di visitatori è cresciuto, passando da 25 a 33 milioni, ma le "mete" più gettonate restano sempre le stesse: su 402 strutture esaminate, "i primi nove musei statali - afferma Antinucci - cioè il 2% del totale, assorbono la metà dei visitatori", mentre i tre quarti meno noti si spartiscono un misero 10%.

Colosseo, scavi di Pompei, Uffizi e Galleria dell'Accademia di Firenze nel 2005 hanno registrato più di un milione di visite. Sono meno di 300.000, invece, i visitatori di Villa Adriana a Tivoli, Ostia Antica, Ercolano, Paestum, Terme di Caracalla, Palazzo Ducale a Mantova e Bargello di Firenze.
Per comprendere appieno questa sproporzione, basta mettere a confronto i numeri della Galleria Borghese di Roma con quelli delle altre 3 grandi pinacoteche della città capitolina (Palazzo Barberini, Galleria Spada, Palazzo Venezia): da sola, la Galleria Borghese ha totalizzato nel 2005 440.000 visite, contro le 136.000 delle altre 3 sedi messe insieme.
Stando così le cose, afferma Antinucci, "per coprire il 90% dei visitatori basterebbe mantenere aperti meno di 90 musei".
Com'è possibile che pochi musei riescano ad attrarre un pubblico così numeroso mentre tutti gli altri si devono accontentare delle briciole? Il maggiore successo di alcune sedi, secondo Antinucci, "si basa sul fatto che anche i musei sono dei brand-name, in grado di attrarre indipendentemente da ciò che essi mostrano o contengono".

Lo studio dell'Istc-CNR mostra dei dati poco incoraggianti anche per quanto riguarda la fruizione museale. I ricercatori hanno intervistato una serie di persone all'uscita dei Musei Vaticani per sapere se ricordavano due delle più importanti sale del Museo, quelle dedicate a Raffaello e Caravaggio. Quasi un terzo non ricordava di averle viste. A chi ha risposto affermativamente gli intervistatori hanno fatto leggere una lista di otto pittori esposti nelle due sale e hanno chiesto quali ricordassero: "solo 14 persone, poco più del 10% - afferma Antinucci - ne ricordavano almeno 4 (...), mentre il 46%, quasi la metà del campione, ricordava soltanto Raffaello". La memoria tradisce ancora di più gli intervistati quando si tratta di ricordare i soggetti delle opere esposte: "metà del campione non ha ricordato nulla, il 18% almeno un'opera corretta", mentre il 32% ha ricordato cose che non aveva visto".
Perché ci resta così poco dopo una visita al museo? Se non ricordiamo quello che abbiamo visto non dipende solo dalla nostra distrazione, ma soprattutto dalla scarsa capacità dei musei di comunicare i contenuti.
"Per superare questa difficoltà - continua Antinucci - occorrerebbe affidare la spiegazione di un'opera a strumenti visivi, in ausilio allo strumento verbale-linguistico generalmente utilizzato, per garantire l'omogeneità del codice di comunicazione".
 Negli anni'90 sembrava crescere l'interesse dei curatori delle mostre per le installazioni multimediali come strumento di comunicazione interattivo, ma ben presto i musei hanno rinunciato ad investire nella tecnologia, che oggi "viene intesa non come fine ma come mezzo. Computer palmari e telefonini utilizzati come ‘guide’, ad esempio, tendono sostanzialmente all’identificazione di un’immagine e non alla trasmissione di contenuti. Per i curatori di un museo il problema della fruizione non è centrale quanto l’interesse a garantire la scientificità dell’allestimento: si pensa a soddisfare più le esigenze degli studiosi che quelle dei visitatori”.

Anche i loro "alter-ego" virtuali soffrono degli stessi limiti. I siti web dei musei, infatti, nella maggior parte dei casi sono la brutta copia dei musei materiali. Sono in pochi a visitarli e chi lo fa si lamenta della scarsa capacità didattica, oltre che della difficoltà di navigazione.
"Il museo virtuale - conclude Antinucci - non va inteso come una replica di quello reale", ma deve invece saper "creare dei ‘racconti visivi’ più adatti a tradurre i messaggi dell’opera”.

Note:
[1] Antinucci, Francesco “Musei virtuali” , Edizioni Laterza. Pubblicazione: 04/2007
[2] Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Consiglio nazionale delle ricerche.  

 

Veronica Rocco

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La ricerca dell’Università di Pisa pubblicata sulla rivista Environmental Science and Technology ha analizzato campioni di sabbia raccolti alle foci dei fiumi Arno e Serchio


Particelle piccolissime, quasi indistinguibili dalla sabbia, le microplastiche nelle nostre spiagge sono una forma di inquinamento elusivo e pervasivo con cui è sempre più necessario fare i conti. A far luce sul fenomeno è arrivato un nuovo studio del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa pubblicato su “Environmental Science and Technology”, la rivista dell’American Chemical Society, tra le più autorevoli nel settore tecnologico-ambientale.
La ricerca coordinata dal professore Valter Castelvetro ha analizzato dei campioni di sabbia raccolti nei pressi delle foci dei fumi Arno e Serchio per determinare la quantità e la natura dei frammenti di plastica inferiori ai 2 millimetri. I risultati hanno evidenziato la presenza di notevoli quantità di materiale polimerico parzialmente degradato, fino a 5-10 grammi per metro quadro di spiaggia, derivante per lo più da imballaggi e da oggetti monouso abbandonati in loco, ma in prevalenza portati dal mare. Come tipologia si tratta prevalentemente di poliolefine, di cui sono fatti ad esempio gran parte degli imballaggi alimentari, e di polistirene, una plastica rigida ed economica usata anche per i contenitori dei CD o i rasoi usa e getta. Questi residui variamente degradati sono stati ritrovati in quantità diversa a seconda della distanza dal mare, più concentrati nella zona interna e dunale per effetto della progressiva accumulazione rispetto alla linea della battigia.

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