Napoli 1973: iniziazione alla vita del bimbo Peppino, stordito dalla storture del mondo degli adulti. Gli zii – Capotondi, De Rienzo - preoccupati solo di cogliere lo spirito del tempo in modo pericoloso e superficiale; la madre – Golino, depressa perché tradita dal marito, che cerca di consolarsi accettando le attenzioni del suo psicanalista – Gifuni; Il padre – Zingaretti, diviso tra il ruolo del marito, del padre, dell’amante extraconiugale. Uno spaccato poco profondo di una società anche bigotta e ingenua di chi non vive appieno lo spirito di trasformazione di un’epoca perché non ne ha ancora sviluppato gli strumenti.
La prova d’attore è apprezzabile e la regia niente affatto pretenziosa. Il piccolo Peppino in questa gabbia di matti, si affida all’immaginazione costruendo, nella sua mente, degli immaginari colloqui con il fantasma di un amico convinto di essere la reincarnazione di Superman, in realtà un “diverso”, che come tale è messo ai margini della società.
È naturale che in questo spirito da commedia anni 50 manca la satira sociale e le radici profonde che il contesto degli anni 50 permettevano e manca il gusto ironico e amaro di autori come Monicelli o Scola, non riuscendo a superare il limite di una commedia circoscritta al luogo raccontato. Lo script, comunque, è simpatico e il film scorre piacevole, man mano che lo spettatore si appassiona alla vita del piccolo Peppino, così poco considerato, in quanto bimbo. Fortunatamente, a partire dal decennio successivo, viene rivalutata la figura del bambino, riuscendo perlomeno a comprendere quanto siano importanti e decisivi quei primi anni di vita al fine di un indirizzo e di una costruzione di personalità. Per essere un’opera prima, comunque, il risultato è assolutamente ammirevole.
Margherita Lamesta