La scoperta, fatta da un gruppo di ricercatori tedeschi, getta nuova luce sui meccanismi della comunicazione linguistica
Quante volte, telefonando ad un amico, alla domanda “chi parla?”, ci è capitato di rispondere “sono io!”. Qualche volta, alla nostra risposta segue anche un imbarazzato “io, chi?”. Non sempre, infatti, il riconoscimento è così immediato come sembra.
Eppure la nostra voce è unica e inimitabile, una vera e propria impronta digitale; il neonato, ad esempio, sa riconoscere la voce della madre tra mille altre voci. Nell’uomo, infatti, esiste una specifica area del cervello che distingue la vocalizzazione. Fino ad oggi gli scienziati ritenevano che questa fosse una caratteristica esclusiva dell’essere umano, ma un recente studio condotto dal Dipartimento di Cibernetica biologica dell’Istituto Max Planck di Tubinga dimostrerebbe che non siamo gli unici animali ad avere questa capacità.
I ricercatori tedeschi hanno fatto ascoltare ad un gruppo di macachi una serie di suoni di vario tipo, fra cui quelli emessi da altri primati della stessa specie. Sottoponendo gli animali ad un sistema di risonanza magnetica funzionale (fMRI, o Functional Magneting Resonance Imaging) per monitorarne l’attività cerebrale, hanno scoperto la presenza di una regione del cervello capace di distinguere le voci provenienti da altri individui della stessa specie. I ricercatori, coordinati dal professor Nikos Logothetis, hanno individuato nel cervello del macaco, un primate lontano parente dell’uomo, un’area deputata al riconoscimento dei suoni, ma non di suoni generici: i macachi, infatti, hanno una preferenza per quelli emessi da altri membri della loro specie. Quest’area specifica del cervello, secondo gli scienziati, gioca un ruolo essenziale nella comunicazione e nelle interazioni fra i membri di uno stesso gruppo. Gli scienziati hanno anche osservato che questa particolare attenzione acustica è rivolta al riconoscimento dell’identità di chi emette il suono; ciò vuol dire che non esiste solo un riconoscimento intra-specie, ma anche la capacità di distinguere i suoni di individui diversi appartenenti alla stessa specie, attribuendo di volta in volta un’identità al parlante: insomma, un riconoscimento vocale selettivo.
Lo studio, pubblicato su Nature Neuroscience , mettendo in evidenza le analogie tra la comunicazione umana e quella di altri primati, getta una nuova luce sulle ricerche relative al linguaggio verbale, sfatando il mito secondo il quale la comunicazione linguistica sarebbe una prerogativa esclusivamente umana. Negli esseri umani, infatti, una piccola area del lobo temporale si attiva solo quando “capta” un suono linguistico e non quando riceve suoni di origine diversa. Gli esperimenti di Logothetis, invece, dimostrerebbero che questa regione del cervello, tuttora presente in altri primati, è il risultato di un’evoluzione lenta e graduale che ha anticipato sviluppi neuronali più complessi, quelli che sono alla base del linguaggio verbale nell’uomo.
La scoperta di un’area cerebrale sensibile alla comunicazione linguistica, secondo Logothetis, si rivelerà utile anche in campo medico, perché consente di capire i meccanismi di riconoscimento delle voci in un modo che non sarebbe assolutamente possibile negli esseri umani. Inoltre, potrebbe aiutare a fare progressi nella diagnosi di patologie come la fonoagnosia, in cui il paziente non riesce a distinguere la voce di persone che conosce bene.
1. Petkov, C. I., C. Kayser, T. Steudel, K. Whittingstall, M. Augath and N. K. Logothetis: A voice region in the monkey brain. Nature Neuroscience 11(3), 367-374 (02 2008).
Link: http://www.nature.com/neuro/journal/v11/n3/pdf/nn2043.pdf
Veronica Rocco