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Tubercolosi: diagnosi più rapida con un semplice test

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Tubercolosi e diagnosi precoce. L'esperienza del Sudan

Una diagnosi precoce della tubercolosi può salvare molte vite, soprattutto nei Paesi dell’Africa e del sud-est asiatico, dove la malattia è più difficile da debellare. Asma Elsony, sudanese, ex presidente dell’Unione contro la Tubercolosi e le malattie polmonari, combatte da anni per assicurare a milioni di persone nel suo Paese un’informazione capillare e cure adeguate. La prossima frontiera? Un test, semplice e veloce.

La difficoltà maggiore nel debellare la tubercolosi, che ogni anno uccide quasi due milioni di persone nel mondo, è che oggi non è ancora possibile fare una diagnosi corretta in tempi brevi. Come sottolinea il professor Gunnar Bjune dell’Università di Oslo, ci vogliono circa due mesi per diagnosticare la malattia, anche se nel frattempo chi ne è colpito ha avuto la possibilità di contagiare altre persone. Solamente dopo due settimane dall’inizio del trattamento, si può escludere il rischio di contagio.

L’Africa ha la maggiore incidenza al mondo di tubercolosi, con 363 casi ogni centomila abitanti. In Sudan, dove le condizioni igieniche e sanitarie sono spesso precarie, metà dei malati di tubercolosi è destinata a morire in un’età compresa fra i 30 e i 50 anni. Negli anni ’90 sono stati registrati tra i 20.000 e i 27.000 casi di tubercolosi, con un picco nel 1999. Da allora, sostiene Asma Elsony, che ha diretto il programma antitubercolosi in Sudan fino al 2005, i casi sono progressivamente diminuiti e oggi se ne contano 16.500. Il programma è riuscito a salvare 100.000 persone, ma le cifre sono sicuramente superiori, visto che quando muore un adulto, i figli sono spesso destinati a morire di povertà.

Fino a qualche anno fa – ricorda la Elsony, che in Sudan è nata e cresciuta - il problema principale di questo Paese era la mancanza di comunicazione tra il mondo della ricerca scientifica, quindi le università, e le strutture sanitarie preposte alla cura dei malati, soprattutto nelle aree rurali, caratterizzate da un maggiore grado di arretratezza. In queste zone, infatti, informazione e profilassi erano più difficili da diffondere. Il “gap” tra ricerca scientifica e salute dei pazienti ha fatto sì che i dati statistici pubblicati dagli istituti di ricerca si scontrassero con una realtà quotidiana fatta non di cifre ma di persone.

Da questa considerazione tre anni fa è nato Epilab, un centro epidemiologico fondato da Asma Elsony con l’intento di costruire un “ponte” fra le università e gli ospedali delle province rurali. Epilab è il primo esperimento di questo tipo fatto in Africa e ha già dato ottimi risultati. Il punto di forza di questo laboratorio è la capacità di mettere a frutto l’esperienza maturata nella cura della tubercolosi per studiare malattie come l’HIV, la malaria, la polmonite, l’asma o disturbi causati dal fumo e dall’inquinamento industriale. Insomma, una ricerca a 360 gradi, grazie anche alla stretta collaborazione con venti università sparse in tutto il mondo.

In Paesi come il Sudan, l’Etiopia, lo Zambia, il Malawi e la Tanzania, la tubercolosi non è l’unica minaccia, ce n’è una ancora più insidiosa e letale: l’AIDS. Si calcola, infatti, che più della metà dei sieropositivi muoiano di tubercolosi. Tenere sotto controllo lo sviluppo della Tbc significa contenere anche gli effetti devastanti del virus dell’HIV poiché queste due malattie sono strettamente correlate fra loro e l’una attiva l’altra.
Oggi l’unica prevenzione contro la tubercolosi è un vaccino del 1921, il BCG (Bacille Calmette Guerin). Questo vaccino, indicato soprattutto per i bambini, offre però una copertura limitata. I bambini vaccinati, infatti, rischiano comunque di sviluppare l’infezione e di ammalarsi in età adulta. Per poter sapere se i nuovi vaccini saranno davvero efficaci oppure no, bisogna fare una distinzione tra chi è malato e chi ha sviluppato gli anticorpi con la vaccinazione.

 E’ necessario distinguere – avverte il professor Bjune – tra infezione latente e infezione conclamata. Tra tutti quelli che hanno contratto l’infezione, infatti, solo il 10% sviluppa la tubercolosi e in alcuni casi questo avviene nei successivi 30-40 anni. Per questo motivo, è importante riuscire a diagnosticare correttamente la malattia. L’obiettivo dei ricercatori è di realizzare un test semplice da usare – come una cartina tornasole – e soprattutto economico, quindi utilizzabile su larga scala nei paesi in via di sviluppo.

In Sudan il programma antitubercolosi ha incontrato molte resistenze politiche. Il governo islamico che ha guidato il Paese negli anni bui della guerra civile, ha cercato di osteggiare le iniziative promosse da Asma Elsony durante la sua direzione del programma, minacciando di sostituirla con figure più “malleabili” e fedeli al partito di maggioranza. La Elsony ha tenuto duro e alla fine anche i leader islamici hanno dovuto riconoscere i successi ottenuti da Epilab e dal Programma antitubercolosi. Durante la guerra civile, quando era pressoché impossibile attraversare il Paese, la Elsony incontrava i rappresentanti delle strutture sanitarie locali fuori dai confini nazionali, in Etiopia, dove si scambiavano idee e progetti, oltre a far entrare le medicine all’interno del paese.

Tubercolosi e resistenza ai farmaci
Secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2006 si sono registrati 9.2 miloni di nuovi casi di tubercolosi nel mondo. A guidare la classifica mondiale troviamo, rispettivamente, India, Cina, Indonesia, Sud Africa ed Etiopia, ma a partire dalla seconda metà degli anni ’80, si è assistito ad una graduale ripresa della diffusione di questa malattia anche nei Paesi occidentali industrializzati. In Gran Bretagna, ad esempio, si registrano settemila nuovi casi ogni anno, la metà dei quali a Londra.
L’aspetto più allarmante, e spesso più sottovalutato, è l’incremento di tubercolosi ad estrema resistenza ai farmaci (XDR-TB), come rivela uno studio recentemente condotto dall’Asian medical Center di Seoul, che ha confrontato malati di tubercolosi con estrema resistenza ai farmaci con un gruppo di pazienti affetti da altri tipi di tubercolosi multiresistente (MDR-TB). La XDR-TB è apparsa per la prima volta nel 2006 e il rischio di morte è tre volte superiore rispetto alla MDR-TB.

 I risultati dell’indagine, che ha preso in esame 1.400 pazienti affetti da MDR-TB in sud Corea, mostrano che il tasso di mortalità fra i pazienti con TBC a estrema resistenza è del 50%, simile a quella che si registra nell’India del sud fra i malati non sottoposti a cure sanitarie e che peggiora ulteriormente se viene correlata con l’infezione da HIV.

Ciò che preoccupa di più i ricercatori non è tanto la virulenza dell’epidemia, quanto la mancanza di informazione e di valide alternative nei trattamenti del batterio. Sono decenni – sottolinenano gli autori della ricerca – che non vengono brevettati nuovi farmaci contro la tubercolosi.

Approfondimenti:


International Union against Tuberculosis and Lung Disease
http://www.theunion.org/

Tuberculosis and HIV Collaborative Program in South Sudan
http://www.sd.undp.org/projects/s_hiv3.htm

WHO report 2008
Global tuberculosis control - surveillance, planning, financing
http://www.who.int/tb/publications/global_report/2008/key_points/en/index.html

University of Oslo, “100.000 saved from dying from tuberculosis”
http://www.apollon.uio.no/vis/art/2008_3/artikler/tuberculosis

A.A.V.V. Treatment Outcomes and Long-term Survival in Patients with Extensively Drug-resistant Tuberculosis American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine Vol 178. pp. 1075-1082, (2008)© 2008 American Thoracic Society doi: 10.1164/rccm.200801-132OC.
http://ajrccm.atsjournals.org/cgi/content/abstract/178/10/1075

Veronica Rocco

 

 

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