Nasce un nuovo progetto europeo di educazione alimentare. Focus su etichette e consumatori: sappiamo leggere le indicazioni nutrizionali dei prodotti che compriamo?
“Basso contenuto di sodio”, “ricco di calcio”, “arricchito con vitamine A,C ed E” “riduce il colesterolo cattivo”, “steroli vegetali benefici per il cuore”, “dimagrisci e mangi quello che vuoi”. Sono solo alcuni degli slogan che ogni giorno ci strizzano l’occhiolino dai cartoni del latte, dalle confezioni di yogurt, dai succhi di frutta o dai cereali per la prima colazione: richiami alla salute, al benessere, ad una dieta ricca di sostanze che promettono di trasformare il nostro scheletro in un’armatura di cemento, le nostre arterie in autostrade a otto corsie e il nostro girovita in un bustino da far invidia ad una dama del Settecento.
Che tipo di reazione abbiamo di fronte a questi messaggi, quando siamo fermi davanti agli scaffali del supermercato, indecisi su quale prodotto comprare? Quanto conta per noi l’etichetta? La leggiamo con attenzione o ci limitiamo ad un’occhiata fugace alla data di scadenza? Che effetto ci fa leggere sulla confezione che quel prodotto ha proprietà “cardiotoniche” o che è “ricco di bioflavonoidi”?
Queste e molte altre sono le domande a cui dovrà rispondere un campione di consumatori europei nei prossimi tre anni. A porle saranno i ricercatori impegnati nel progetto FLABEL (Food Labelling to Advance Better Education for Life), la prima indagine pan-europea sull’etichettatura degli alimenti e l’educazione alla salute dei consumatori. Il progetto, lanciato ieri, intende analizzare le indicazioni nutrizionali delle etichette alimentari e i comportamenti d’acquisto dei consumatori. I risultati raccolti, secondo gli scienziati, offriranno linee-guida sulla salute dei cittadini a medici, industrie alimentari e istituzioni.
La ricerca si propone innanzitutto di studiare la correlazione tra potere d’attrazione delle etichette ed effettive scelte d’acquisto dei consumatori. Per poter determinare in che misura l’etichetta influisce sul nostro comportamento, bisogna tener conto di due fattori: da un lato, la frequenza e la durata dell’esposizione al messaggio, dall’altro l’insieme delle nostre conoscenze pregresse, ossia il significato che noi attribuiamo al prodotto o al suo messaggio pubblicitario in base alla nostra esperienza personale e alle opinioni che ci siamo formati su un certo tema, per esempio il ruolo dell’alimentazione nella salute.
A differenza delle indagini precedenti, che studiavano gli effetti di un’esposizione “forzata” all’etichetta alimentare, il progetto Flabel intende analizzare gli aspetti “inconsci” che agiscono nei processi decisionali dei consumatori in situazioni reali. Per valutare correttamente l’impatto dell’etichetta su chi acquista un prodotto, non basta più prendere in considerazione parametri come la semplicità e la completezza dell’informazione, ma bisogna tener conto anche di altri fattori: il tipo di prodotto, le caratteristiche grafiche dell’etichetta, la sua visibilità all’interno del punto vendita. E’ possibile, ad esempio, migliorare la leggibilità dell’etichetta cambiando la disposizione degli scaffali o utilizzando pannelli informativi o altre forme di promozione? L’indagine dedicherà una particolare attenzione ai prodotti alimentari destinati ai più piccoli e al modo in cui le etichette influenzano le scelte d’acquisto delle mamme.
Tra noi e il cibo che mangiamo non c’è quasi mai un filo diretto, ma una lunga catena di anelli e tranelli: il marketing, la pubblicità, la distribuzione, il packaging, senza contare l’informazione quotidiana veicolata dai media. Ognuno di essi contribuisce a trasformare il gesto quotidiano di “mangiare” in un’attività complessa e ricca di significati. Questi significati cambiano in base all’età, all’educazione, alle conoscenze, e influiscono sul modo in cui percepiamo l’etichetta di un prodotto alimentare e il suo valore per la nostra salute.
Secondo i ricercatori, l’etichetta di un alimento può influire positivamente sulla salute della popolazione solo se riesce ad influenzarne il comportamento d’acquisto. A patto, però, che una scelta più “salutare” in un determinato settore non sia poi compromessa da comportamenti meno salutari in altri contesti alimentari. I risultati dell’indagine, infatti, si baseranno non solo sulle risposte dei consumatori, troppo spesso condizionate dai loro desideri, ma anche sull’effettivo volume di vendite dei prodotti.
Il Regolamento della Commissione europea
Nel gennaio 2007 la Commissione europea ha pubblicato il regolamento sulle indicazioni nutrizionali delle etichette alimentari. Obiettivo del documento è di fornire informazioni chiare ai consumatori sui prodotti in vendita, per metterli in condizione di fare scelte consapevoli ed equilibrate.
Vediamo innanzitutto quali sono le informazioni che non devono mai mancare sull’etichetta:
1. Quantità di contenuto netto del prodotto.
2. Denominazione, ossia riferimento alle condizioni fisiche del prodotto confezionato o ad eventuali trattamenti cui è stato sottoposto durante la lavorazione.
3. Lista degli ingredienti.
4. Scadenza.
5. Nome del produttore/importatore. L’indirizzo del fabbricante, del confezionatore o dell’importatore devono essere chiaramente leggibili, in modo che il consumatore sappia a chi rivolgersi in caso di reclami.
6. Marchio biologico: l’uso del termine “biologico” nell’etichettatura degli alimenti è sottoposto a norme rigorose. La denominazione è consentita solo nel caso in cui l’alimento sia stato prodotto secondo metodi conformi a “standard elevati di protezione dell’ambiente e di benessere degli animali”.
7. OGM: indicazione obbligatoria per i prodotti che hanno un contenuto di OGM superiore allo 0,9%.
8. Origine.
9. Informazioni nutrizionali.
10. Indicazioni relative ad eventuali benefici sulla salute (basso contenuto di colesterolo, fa bene al cuore, etc.), secondo regole precise [1].
In base al Regolamento della Commissione europea, il riferimento all’elevato contenuto di fibre si può utilizzare solo per alimenti che contengano “almeno 6 g di fibre per 100 g di prodotto”. Inoltre, nei prodotti molto grassi o ricchi di zucchero, non possono figurare indicazioni tipo “contiene vitamina C”.
Il Regolamento vieta indicazioni relative alla prevenzione, al trattamento o alla cura di una specifica malattia, pareri positivi di singoli medici o riferimenti che facciano credere al consumatore che il mancato utilizzo di quel prodotto possa compromettere la salute.
Supermercato o farmacia?
La nostra società vive uno strano paradosso: più aumenta l’allarme sulla sicurezza alimentare e sull’ “impoverimento” delle proprietà nutrizionali dei cibi, più la pubblicità ne esalta le virtù terapeutiche, proponendoci veri e propri cocktail di farmaci: dalle patate che “fanno diventare più intelligenti” ai succhi di frutta che combattono i radicali liberi o agli yogurt probiotici che, rafforzando le nostre difese immunitarie, promettono di farci superare indenni le insidie dell’inverno.
Possiamo davvero fidarci di questi messaggi “salutistici” “? Su questo tema, ammette la Commissione europea, bisogna fare molta chiarezza perché spesso ciò che leggiamo sull’etichetta dei prodotti ha poco a che vedere con la nostra salute e molto di più con le strategie di marketing delle aziende produttrici.
Gli effetti benefici dei prodotti alimentari sulla salute devono essere dimostrati scientificamente. Per tutelare i consumatori da affermazioni fuorvianti o infondate, la Commissione ha istituito un sistema di vigilanza in 3 fasi: gli Stati membri inviano l’elenco delle indicazioni che ritengono scientificamente valide; l’ EFSA (European Food Safety Authority), che è l’agenzia europea per la sicurezza alimentare, valuta l’elenco e, una volta approvato, lo inserisce in un registro pubblico. Qualsiasi società voglia esporre determinate indicazioni sull’etichetta di un alimento dovrà fornire all’EFSA adeguate evidenze scientifiche, che poi verranno verificate ed eventualmente approvate dall’organo di controllo.
Gli slogan “bocciati” dall’EFSA
A partire da luglio 2008, l’EFSA pubblica sul suo sito l’esito dei pareri scientifici richiesti per conto della UE su alcuni prodotti alimentari che riportano indicazioni su presunti benefici per la salute. Risultato? Sette slogan su otto non hanno superato l’esame e sono stati rimandati al mittente come “pubblicità ingannevole” perché millantano proprietà salutari prive di fondamento scientifico. Non è vero, ad esempio, che 3 razioni al giorno di latte e formaggio garantiscono il peso-forma a bambini e adolescenti, così come non è dimostrato che un integratore alimentare derivato da frutta e fermenti con lactobacilli e batteri lattici stimola e aiuta il sistema immunitario dei bambini. L'unico slogan che ha passato la prova, è stato quello sulla diminuizione del rischio cardiaco collegata all'assunzione di steroli vegetali.
I produttori, fa sapere l’EFSA, hanno tempo fino al 2015 per modificare le indicazioni e adattarle alla normativa vigente.
L’altra faccia della sicurezza alimentare: il sud del mondo
Il progetto Flabel nasce in risposta alla progressiva diffusione di malattie e disturbi di origine alimentare. Nei paesi occidentali, infatti, si stima che il 30% della popolazione ogni anno vada incontro ad infezioni alimentari più o meno gravi [2]. Nell’era della globalizzazione dei mercati, tuttavia, le malattie alimentari non colpiscono allo stesso modo il nord e il sud del mondo. Se in Europa e negli Stati Uniti i disturbi alimentari sono per lo più dovuti a cattive abitudini e al consumo di cibi troppo dolci o troppo grassi, che favoriscono l’insorgere di malattie croniche, nei Paesi dell’Africa e del sud-est asiatico milioni di persone si ammalano ogni anno per aver mangiato cibi contaminati con virus, parassiti, batteri o prodotti chimici. Le infezioni alimentari più conosciute sono la salmonellosi e l’influenza aviaria perché la cronaca ha dato loro ampio risalto, ma ci sono tante altre forme di contaminazione meno note e altrettanto gravi, come quella da aflatossina nei pistacchi e nei semi di arachide o quella da metilmercurio nei prodotti ittici.
Nei paesi in via di sviluppo, dove le condizioni igienico-sanitarie sono spesso precarie, i sistemi di produzione alimentare poco controllati e la regolamentazione quasi inesistente, il rischio di contrarre malattie infettive dal cibo è molto alto, soprattutto nelle regioni più colpite dal virus dell’HIV.
La scarsa attenzione alle regole fissate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio sulla sicurezza alimentare rischia di compromettere seriamente le esportazioni dei Paesi in via di sviluppo. All’inizio del 2008, ad esempio, l’Arabia Saudita ha chiuso le porte al pollame provenienti dall’India a causa di un’epidemia di aviaria scoppiata nel Bengala occidentale. Le perdite per il paese d’origine ammontavano a 500.000 dollari.
Come sottolinea l’OMS, c’è ancora molta strada da fare per poter garantire regole standard e sicure nell’industria alimentare dei paesi poveri. L’entità del problema finora non è mai stata quantificata in modo sistematico. Tracciare una mappa mondiale delle malattie di origine alimentare non è un’impresa facile, a causa della varietà e complessità del fenomeno. Nel 2007 l’OMS ha lanciato il progetto FERG che, con la collaborazione di un gruppo di specialisti provenienti da tutto il mondo, si propone di realizzare un “atlante” delle malattie alimentari, che costituirà fra l’latro uno strumento di formazione e di informazione per i paesi in via di sviluppo, aiutandoli a condurre studi a livello nazionale e locale.
Note
[1] La UE consente 3 tipi di indicazioni sui prodotti alimentari: indicazioni nutrizionali relative ad eventuali proprietà benefiche derivanti dalla composizione del prodotto (fonte di, privo di, con elevato o ridotto contenuto di); indicazioni che stabiliscono una correlazione tra un alimento e la salute (il calcio rafforza le ossa); indicazioni relative alla riduzione del fattore di rischio di malattia. Per la prima volta sarà permesso menzionare le malattie sui prodotti alimentari, ma solo previa autorizzazione da parte dell’EFSA (European Food Safety Authority).
[2] Negli ultimi mesi ha fatto il giro del mondo la notizia sulla contaminazione da melanina di latte in polvere prodotto in Cina, dove sono morti 4 bambini e oltre 54.000 sono stati ricoverati. L’adulterazione con melanina nell’industria alimentare cinese non è una novità, se già nel 2006 la FDA americana denunciava la presenza di questa sostanza nei prodotti cinesi destinati al settore zootecnico e ittico degli Stati Uniti. L’adulterazione dei prodotti alimentari è una pratica molto più diffusa di quello che si crede. “Adulterare” un prodotto, infatti, significa aggiungere altri ingredienti per gonfiarne il peso e abbassarne il prezzo al Kg. “I produttori olandesi – scrive Giada Saint Amour di Chanaz - importano polli congelati a basso costo da Thailandia e Brasile, scongelano la carne e poi le iniettano una soluzione di additivi attraverso decine di aghi, oppure con il processo del tumbling: li immergono in immense vasche colme di acqua e additivi e li rigirano con pale giganti fino al completo assorbimento” [Giada Saint Amour di Chanaz, “Cosa mangia il pollo che mangi? Dal mercato globale al buon cibo locale”, pagg. 13-14, Arianna Editrice 2007].
Approfondimenti e link consigliati
Progetto Flabel
http://www.flabel.org/en/
European Food Information Council (EUFIC)
http://www.eufic.org
Chi vuole prendere visione dei pareri scientifici espressi dalla European Food Safety Authority (EFSA) in merito alle indicazioni sulla salute fornite dalle etichette alimentari, può collegarsi al sito dell’EFSA: http://www.efsa.europa.eu/EFSA/efsa_locale-1178620753820_1211902056325.htm
Commissione europea
http://ec.europa.eu/index_it.htm
Testo integrale della proposta avanzata dalla Commissione Europea per rendere l’etichettatura dei cibi più trasparente (versione inglese):
http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/foodlabelling/publications/proposal_regulation_ep_council.pdf
Come leggere l’etichetta
http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/foodlabelling/publications/leafletIT5_29112007_web.pdf
From farm to fork. Safe food for Europe’s consumers (versione inglese)
http://ec.europa.eu/publications/booklets/move/46/en.pdf
World Health Organization
Progetto FERG. Initiative to estimate the Global Burden of Foodborne Diseases (versione inglese)
http://www.who.int/foodsafety/foodborne_disease/ferg/en/
Scienzeonline
Allevamenti ittici a rischio di tossicità: problemi e prospettive della “rivoluzione blu” (04/06/2007)
http://www.scienzeonline.com/index.php?option=com_content&task=view&id=69&Itemid=61
FAO e OMS esortano i paesi a rafforzare i sistemi di controllo sulla qualità, sull'igiene e sulla sicurezza del cibo (19/07/2007)
http://www.scienzeonline.com/index.php?option=com_content&task=view&id=42&Itemid=64
Veronica Rocco