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Anno 3 Numero 124-125

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Direttore Responsabile Guido Donati

                        

 

Un giovane medico jesino scopre un metodo diagnostico tempestivo del morbo della Mucca Pazza

Il dottor Gianluca Moroncini specializzando dell'Università Politecnica delle Marche ha pubblicato le sue ricerche su una prestigiosa rivista scientifica internazionale

Non capita tutti i giorni di veder pubblicato sul prestigioso settimanale scientifico statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) l'articolo di un ricercatore italiano. Se poi lo studioso ha appena trent'anni, la cosa suscita curiosità e ammirazione. È successo recentemente, con la pubblicazione dei risultati di uno studio condotto da un medico jesino, Gianluca Moroncini, che ha svolto le sue ricerche presso il Dipartimento di Immunologia dell’Istituto di Ricerca Scripps a La Jolla, California. L’articolo illustra una nuova metodica per la generazione di specificità anticorpali, ovvero di nuovi particolari anticorpi, basata sulla manipolazione in vitro di anticorpi già esistenti.
“Quella che abbiamo realizzato potrebbe essere descritta come la metamorfosi in vitro di un anticorpo. Abbiamo infatti modificato un anticorpo umano diretto contro Hiv (il virus responsabile dell’Aids) trapiantandovi, mediante tecniche di biologia molecolare, varie sequenze di aminoacidi (i “mattoni” che costituiscono le proteine) appartenenti a una proteina chiamata PrP ovvero proteina prionica".
"Proteina prionica", una espressione che fino a qualche anno fa non avrebbe detto assolutamente niente a un profano e che invece è diventata tristemente nota quando è scoppiato il caso internazionale del cosiddetto "Morbo della Mucca Pazza".

"La proteina in questione, espressa dalle cellule umane e animali, -ci spiega il dottor Moroncini - può assumere due conformazioni, una normale e una “patologica”. Quest’ultima rappresenta il marker e probabilmente l’agente causale della Malattia della Mucca Pazza, che può essere trasmessa all’uomo attraverso il consumo di carne e derivati provenienti dal bestiame infetto. Le due forme di questa proteina hanno la caratteristica di interagire legandosi l’una all’altra. Abbiamo dunque pensato di sfruttare questa proprietà al fine di generare anticorpi in grado di riconoscere selettivamente la conformazione “patologica”: inserendo varie sequenze proteiche appartenenti alla forma normale nell’anticorpo anti-HIV, abbiamo fatto sì che esso perdesse la capacità di legarsi al suo bersaglio naturale e acquisisse la capacità di riconoscere un nuovo bersaglio, vale a dire la forma “patologica” della proteina prionica”.
I vantaggi potenziali di questa scoperta sono molti e importanti. Il più immediato è rappresentato dal fatto che i nuovi reagenti potrebbero essere impiegati in un test di screening (attualmente non disponibile) da eseguire durante la lunga fase di incubazione che precede la fase clinicamente manifesta della malattia. Avere la capacità di individuare i capi d’allevamento infetti permetterebbe di evitare la promiscuità con quelli sani e consentirebbe la loro pronta rimozione dalla catena alimentare. Ma c'è di più: individuare gli esseri umani portatori eviterebbe il rischio di trasmissione orizzontale della malattia tramite la donazione di sangue infetto.

A questo proposito, il dottor Moroncini, conclusa l’esperienza statunitense e rientrato nell’Istituto di Clinica Medica dell’Università Politecnica delle Marche, sta lavorando a un progetto pilota finanziato dal Ministero della Salute che ha l’obiettivo di effettuare una stima della prevalenza della malattia da prioni nella popolazione della Regione Marche.
“Con la supervisione del dottor Fabrizio Tagliavini dell'Istituto Neurologico Besta di Milano. e la diretta collaborazione con il professor Armando Gabrielli e la professoressa Marina Scarpelli degli Istituti di Clinica Medica e di Anatomia Patologica dell’Università Politecnica delle Marche - dice Moroncini - sto raccogliendo sezioni di organi linfatici umani provenienti da interventi chirurgici eseguiti di routine per ricercare in essi la presenza del marker di malattia. Non abbiamo idea della estensione reale della diffusione dell’agente infettivo tra la popolazione italiana, ed è necessario iniziare ad affrontare questa problematica seguendo l’esempio di quanto sta accadendo in Gran Bretagna. Ovviamente questo è solo un primo passo e speriamo che l’iniziativa possa essere estesa ad altre regioni italiane".
A tale scopo, si sta progettando di effettuare un indispensabile monitoraggio del rapporto tra costi e benefici di una simile ricerca, che sarà curato per l'Università Politecnica delle Marche dal Centro di Management Sanitario diretto dal professor GianMario Raggetti.
"Un altro potenziale impiego dei nuovi anticorpi, vista la loro notevole affinità e specificità per la conformazione “patologica” della proteina prionica, - conclude il giovane e brillante ricercatore - è rappresentato dal loro utilizzo come vettori per farmaci attualmente in sperimentazione. La nuova metodica può essere inoltre applicata ad altre condizioni patologiche caratterizzate da “protein-protein interaction”, quali la Malattia di Alzheimer e il Diabete Mellito, allo scopo di generare anticorpi con finalità diagnostico-terapeutiche".

www.unian.it

18 agosto 2004
 
                               

 

     

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