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di Isabella Roth
Roma, 28 gennaio 2004 - Shoa, per non
dimenticare. Da quattro anni si celebra il giorno della memoria, per
ricordare un passato che ci è appartenuto affinché sia possibile
comprendere il presente e far sì che il futuro sia migliore. La
memoria trova il suo significato nella dimensione del tempo
piuttosto che in quella dello spazio ed è attraverso la dimensione
temporale che il nostro io trova la sua storia. L’orrore dello
sterminio ritorna nelle parole di Primo Levi: “È avvenuto, quindi
può avvenire di nuovo”.
Con queste parole la consigliera delegata alle politiche della
multietnicità del comune di Roma, Franca Eckert Coen, ha introdotto
il dibattito “Diversità è ricchezza”, uno di tanti appuntamenti
dedicati alla giornata della memoria che si sono succeduti a Roma il
27 gennaio.
Alla conferenza hanno partecipato il professor Enzo Collotti,
docente di storia presso l’università di Firenze, la professoressa
Anna Rossi Doria (università Tor Vergata di Roma) e il professore
Enzo Campelli (Università degli studi di Roma “La Sapienza”),
coordinati dal professore Mario Toscano.
La Germania nazista fondò il suo credo aberrante sull’articolo 175
della legislazione nazionalsocialista che decretava la distruzione
“delle vite che non meritano di essere vissute”, acquisito dal
governo fascista con la promulgazione del codice Rocco. Le parole
del professor Collotti si rivolgono principalmente alla complicità
dell’Italia nella teoria della superiorità della razza ariana.
L’Europa dei vinti, dopo il 1918, visse uno sconvolgimento
politico-culturale che la portò verso la ricerca di una nuova
identità; rinnegò il principio base di ogni governo democratico: la
diversità di ogni uomo. Un detto ebraico ci insegna: “Ogni uomo è un
mondo. Ogni differenza è un mondo. E tutti i mondi vanno
rispettati.”
I campi di sterminio sono la logica conclusione di un processo
iniziato dai nazisti già nel 1933, in cui l’Italia fu protagonista
ben prima dell’8 settembre 1943, con la deportazione di centinaia di
ebrei libici durante la campagna d’Africa e con il manifesto di
Verona, durante la repubblica sociale, in cui si revocava la
cittadinanza italiana agli ebrei.
Tutto ciò -conclude Collotti- deve essere attualizzato attraverso la
consapevolezza che la destabilizzazione sociale che viviamo porta ad
un inquinamento delle coscienze e trova nell’accusa del diverso, lo
sfogo della paura per il futuro. Tutto ciò deve essere fatto
affinché la giornata della memoria non diventi celebrazione di una
ritualità privata del suo senso.
A queste parole si lega l’intervento della professoressa Rossi Doria.
“L’eccesso di memoria può essere molto pericoloso. Occorre saper
dare il giusto significato alle parole attraverso un’accurata
ricostruzione storica di quanto è accaduto”. Deportazione non è solo
sinonimo di milioni di ebrei imprigionati e uccisi ma anche di
dissidenti e di internati militari che furono circa 650 mila. E
ancora significa deportazione femminile e di minoranze etniche
troppo spesso dimenticate. Si arriva alla teorizzazione di due
guerre che, contemporaneamente, hanno combattuto ebrei e
nazi-fascisti: la prima contro l’oblio durante la shoa e la seconda
contro la memoria e l’esistenza dell’uomo.
Chi uccide un uomo uccide un mondo ed ogni uomo è portatore di
unicità e di differenza. La categoria della diversità culturale
mette in crisi il mondo democratico, cosmopolita ed illuminista.
Enzo Campelli, sociologo, porta la discussione su una questione
attuale. “Siamo ancora impegnati a capire quale sia il territorio
della differenza costruttiva, quali siano i confini entro i quali si
deve agire senza scadere nel concetto di esclusione dell’altro”.
Cosa vuol dire differenza? Il diritto di non essere egoisti rispetto
a esigenze di cooperazione? Di non isolarsi di fronte al bisogno di
cooperazione? Di non essere antagonisti nel rispetto del bene
comune? Non si può parlare di integrazione e di tolleranza: due
concetti che contengono l’esistenza di una maggioranza. E non si può
parlare di olocausto che porta nel suo significato il concetto di
sacrificio. “Il dolore –conclude Campelli- deve esprimersi nella
lingua di chi lo ha provato perché in quelle parole vive un universo
semantico nato da quelle esperienze”.
A conclusione del dibattito sono intervenuti disabili, ebrei,
omossessuali e zingari, “eredi” di chi fu perseguitato e ucciso
perché diverso. L’onorevole Ileana Argentin, consigliera delegata
del sindaco di Roma per i problemi dell’handicap, racconta la sua
esperienza di disabile e afferma: “Diversità è ricchezza. È la
nostra cultura che ha decretato l’esclusione di chi non si esprime
all’interno di un contesto predefinito. Io e tanti altri amiamo in
modo diverso, ma viviamo come gli altri”.
Sommarietto 1
Un detto ebraico insegna: “Ogni uomo è un mondo. Ogni differenza è
un mondo. E tutti i mondi vanno rispettati.”
Sommarietto 2
Il dolore deve esprimersi nella lingua di chi lo ha provato perché
in quelle parole vive un universo semantico.
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